mercoledì 3 luglio 2019

1942 - CORMANI, Il trasferimento della Darsena di Porta Ticinese in Milano


PREMESSA

L’interesse che in questi ultimi anni ha suscitato il problema della navigazione interna in Italia, mi ha indotto a raccogliere in un volume gli scritti miei e quelli di collaboratori e studiosi, in merito al trasferimento della vecchia Darsena milanese di Porta Ticinese. Tale problema, infatti, si inquadra egregiamente nel complesso delle opere in via di realizzazione, che riflettono la sistemazione definitiva delle idrovie nella Valle Padana; anzi, sotto certi aspetti - e in modo particolare per quanto riguarda la metropoli lombarda - assume valore di primo piano per alcune ragioni appunto esposte in articoli e memorie che formano oggetto della presente pubblicazione.
Il trasferimento della Darsena di Porta Ticinese, non rappresenta soltanto una mia idea, un personale punto di vista e neppure è dovuto ad improvvisazione. Tecnici, igienisti, e quanti si occupano dell’assetto futuro di Milano, hanno prospettato e caldeggiato la necessità inderogabile della soppressione dell’attuale bacino per crearne uno nuovo, in località più adatta e meglio rispondente allo scopo. Ritenendo maturi i tempi e propizie le condizioni per realizzare tale progetto, assertore della utilità di affrontare e di risolvere oggi - per quanto e dove è possibile - i problemi del dopo-guerra vittorioso, almeno nelle loro grandi linee basilari, ho creduto opportuno radunare e ordinare gli scritti apparsi recentemente sulla Darsena milanese. Il profano potrà seguire, le alterne vicende che portarono al mio progetto di trasferimento della Darsena, ed il tecnico trarre gli elementi ed i dati di fatto per formarsi un giudizio sereno sull’argomento.
E qui tengo a mettere in rilievo un elemento essenziale di carattere immediato e futuro: la località in cui dovrebb’essere trasferita la vecchia Darsena è la più opportuna, il che anche le Autorità interessate hanno riconosciuto, e conseguentemente la nuova sistemazione assumerebbe forma stabile e definitiva. Questo ho inteso precisare perchè, se sorgeranno eventuali critiche al progetto si sappia che le soluzioni provvisorie o le mezze misure, non solo rappresentano palliativi dannosi, ma creano oggi per disfare domani.
Per l’economia del volume ho suddiviso la materia in una serie di capitoli i quali singolarmente si riferiscono a particolari aspetti o a pratiche inerenti al trasferimento della Darsena. Così agli scritti ho aggiunto la parte più significativa del carteggio scambiato col Ministero dei Lavori Pubblici e con l’Ufficio tecnico del Comune di Milano, a testimonianza dell’opera da me svolta anche attraverso gli organi competenti per prospettare ad essi l’utilità e la necessità immediata di una pronta realizzazione della nuova Darsena. Infine ho ritenuto opportuno aggiungere alcune tra le molte adesioni che mi sono pervenute, per dimostrare come consensi ed incoraggiamenti abbiano confortato e sorretto la mia tenace volontà.
Qualcuno si chiederà il motivo del mio diretto intervento per la soluzione del problema della Darsena milanese. Premetto che ho sempre avuto presente la visione generale degli interessi di tutti indistintamente i navigatori, ed anche la insufficienza dell’attuale bacino idrico a contenere il traffico che si svolge sui navigli. Se consideriamo le esigenze del dopo-guerra, si dovrà riconoscere che la Darsena di Porta Ticinese risulterà inefficiente. Queste soltanto sono le preoccupazioni e gli scopi del mio personale interessamento, sorretto da mezzo secolo di vita e di esperienza sui navigli. La mia passione di pioniere e di vecchio navigatore, di studioso delle idrovie lombarde, mi ha indotto a persistere nella mia convinzione sull’utilità del trasferimento della Darsena. Ora tale convinzione ha superato i limiti di una mia personale valutazione, in quanto che alla Darsena sono strettamente collegati il futuro sviluppo della navigazione interna che fa capo a Milano e le necessità dell’edilizia milanese nel dopo-guerra. Solo per queste ragioni ho dedicato e dedico tempo e mezzi alla realizzazione di un progetto ormai maturo.
Oltre alle necessità tecniche occorre tener presenti quelle economiche. Infatti il trasporto per via d’acqua, specie dei materiali poveri, è il più conveniente ed inoltre il più autarchico. E siccome l’autarchia non è soltanto dovuta alle attuali contingenze, ma ad una precisa direttiva programmatica del Regime, lasciamo da parte le discussioni sterili, i ricordi romantici di qualche passatista, e diamo a Milano la nuova Darsena, quale necessita al suo grande sviluppo di domani, nel quadro del nuovo posto di preminenza che l’Italia si sta conquistando nella rinnovata Europa.
E qui sento di dover esprimere la mia particolare gratitudine al geom. cav. Achille Piccini per l’assidua collaborazione tecnica e giornalistica svolta in favore della nuova sistemazione della Darsena milanese e dei vecchi navigli.
Mi lusingo di contribuire con quest’opera ad affrettare il trasferimento della Darsena di Porta Ticinese. Autorità, Enti interessati, tecnici e studiosi potranno pertanto trarne tutti gli elementi per lumeggiare, nei suoi molteplici aspetti, un problema, che da tutti è ormai ritenuto maturo per una pronta soluzione.

GIUSEPPE CORMANI
Milano, dicembre 1941

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UN PIONIERE DELLA NAVIGAZIONE INTERNA

Un uomo che ha avuto fede nella «via che cammina». - Programma autarchico di quarant’anni fa - Il rifornimento milanese di sabbia in rapporto allo sviluppo edilizio cittadino - Dalle vie d’acqua alle strade - La soluzione del problema della Darsena, ultima aspirazione di colui che ha saputo valorizzare il Naviglio


L’importanza della navigazione interna sia dal lato economico, sia da quello della sicurezza del trasporti, è stata ampiamente documentata, in modo particolare nell’ultimo decennio. Tecnici di valore ed appassionati del problema, hanno scritto, detto e purtroppo fatto assai poco, per arrivare ad una soluzione radicale, sicché è esatto quanto da taluni è stato rilevato che «hanno fatto più male alla navigazione interna i suoi amici che i suoi nemici».
Il Regime, impostando il piano autarchico, ha voluto che la questione delle idrovie venisse studiata e risolta con quella rapidità che caratterizza lo stile fascista, e un tangibile risultato si è avuto nei primi mesi del corrente anno, quando su proposta del Ministro dei Lavori Pubblici, Ecc. Gorla, venne approvato un disegno di legge che reca: «Provvedimenti per la costruzione del canale navigabile Milano-Cremona Po». Ormai la questione della navigazione interna non solo è entrata nella coscienza e nel pensiero del popolo italiano, ma sta arrivando ad una fase esecutiva.
Questo a un dipresso, era il corso dei nostri pensieri nell’attesa di intervistare il cav. Cormani. Volevamo conoscere il parere di un competente su quesiti postici da lettori di «Tecnica Fascista» in rapporto ad articoli sulle idrovie, apparsi sul nostro periodico, perciò ci siamo rivolti alla cortesia del cav. Cormani, autentico pioniere della navigazione interna. Mezzo secolo di vita sul Naviglio è uno stato di servizio non comune; se poi consideriamo l’odierno potenziale della navigazione su quel canale ed il modestissimo tonnellaggio di cinquant’anni fa, la figura di questa tempra lombarda di tenace realizzatore si rivela dall’eloquenza dei fatti.

Il Cormani ha conservato nei lunghi anni di fatica la parola sobria come la vita dei barcaioli, la parlata alquanto lenta come il ritmo pacato della navigazione fluviale. Sotto la fronte pensosa lo sguardo ha conservato, nonostante gli anni, l’impronta inconfondibile di un’intelligenza volitiva. Semplice ed affabile ha risposto alle nostre domande con l’occhio un po’ assente come se seguisse un succedersi di quadri rievocatori.

- Avete detto di aver iniziato circa mezzo secolo fa la vostra vita sul Naviglio; volete darci qualche particolare sulla navigazione a quel tempo?
- Figlio e nipote di barcaioli fin da ragazzo seguivo mio padre e lo zio nei loro viaggi, perciò posso con diretta conoscenza di causa rispondere alla vostra domanda. Al tempo della mia adolescenza vi erano sei barche da trenta tonnellate ciascuna che facevano servizio sul Naviglio trasportando ciottoli per selciato e ciottoli di quarzo per le ceramiche. Vita dura, vita difficile. Eravamo in pochi a credere alle possibilità della navigazione interna. Il progresso tecnico nelle ferrovie e nei trasporti stradali faceva prevedere una lenta, ma sicura agonia del traffico sul Naviglio. Eppure non potevo adattarmi al pensiero di abbandonare quella vita faticosa, ma che aveva un suo fascino particolare. Non perchè fossi un ostinato negatore del progresso, ma perchè dal lato economico ritenevo più pratico e meno costoso il trasporto per via acquea. Con gli anni e con l’esperienza, rafforzai la mia convinzione.
Quando il nostro cantilenante andare era sorpassato dalla velocità dei primi treni elettrici od a vapore, pensavo che il carbone per alimentare le locomotive era importato dall’estero, e che pure tributari dello straniero eravamo per il macchinario elettrico, mentre le nostre povere barche erano costruite in Italia e non richiedevano nè combustibile nè materiale straniero.

- Siete dunque stato un precursore dell’autarchia...
- In certo qual modo sì, anzi dirò di più, ancora giovanetto ideai un vero programma autarchico ed ecco come qualche anno dopo pervenni a realizzarlo. Nelle mie soste milanesi tra un viaggio e l’altro, mi permettevo brevi puntate cittadine. Erano gli anni della euforia industriale. Milano era all’avanguardia e l’incremento dell’industria chiamava in città migliaia di operai. Conseguentemente l’edilizia assunse un rapido sviluppo. Tra le materie prime per le costruzioni difettava la sabbia. Si procedeva allo scavo con mezzi elementari nei dintorni della città. Un badilone e un graticcio erano gli arnesi di cui disponeva il cavatore quasi sempre improvvisato. Dotato di un certo spirito d’osservazione rilevai che queste sporadiche fatiche non davano compenso adeguato. Nei miei frequenti viaggi avevo notato come le colline moreniche verso l’alto Ticino erano ampi depositi di sabbia e per associazione di idee ne dedussi la possibilità di trasportare per via acquea quella sabbia a Milano. Ne accennai a mio padre ed a mio zio, ma le loro vedute strettamente conservatrici e la paura del rischio, fece loro ritenere la mia idea azzardata ed arrivarono a dire che avrei mandato in rovina la nostra modesta impresa. Convinto che la produzione di massa e non quella relativa poteva soddisfare le esigenze dell’edilizia milanese decisi di iniziare l’escavazione e il trasporto della sabbia a Milano via Naviglio.

- Questa vostra idea è stata come l’uovo di Colombo.
- Infatti, fra tutti quelli che avevano imprese edilizie o che praticavano il piccolo cabottaggio lungo il canale nessuno aveva pensato a questa semplice, ma importante soluzione di un problema di grande portata. I fatti mi diedero ragione. Nel 1902 con una sola barca iniziai il trasporto della sabbia, dopo aver comperato dei terreni adatti allo scavo. Io stesso provvedevo a far scavare la sabbia, a trasportarla ed a venderla a Milano. Il successo arrise alla mia impresa fin dai primi anni, ma vi assicuro che non risparmiavo fatica ed energia. Talvolta ripenso a quei duri tempi e mi stupisco come abbia potuto resistere per tanti anni ad un lavoro ad un logorio fisico veramente eccezionali. Mi confortavano tuttavia i primi successi, più ancora del guadagno realizzato. Infatti nel 1903 la mia «flotta» contava già quattro barche e 12 dal 1905. Ormai la mia iniziativa era tradotta in una smagliante realtà. Sorsero poi altre imprese convinte dal mio esperimento che i trasporti per via d’acqua erano i più pratici ed i più economici, e qui tengo a far rilevare che l’iniziativa dei trasporti di massa sul Naviglio è stata mia e dunque permettetemi di attribuirmi il vanto di essere stato un precorritore dei tempi attuali, nei quali si punta sulla completa valorizzazione delle vie acquee come importanti fattori economici.

- Come avete seguito il progresso tecnico in rapporto allo scavo ed alla navigazione?
- Il problema dell’uomo e la macchina mi ha sempre appassionato. Perciò, ed anche in conseguenza di quel dinamismo pratico che è un po’ la mia caratteristica personale, ho voluto seguire passo passo il progresso tecnico. Ho tanto faticato nella mia prima giovinezza, che mi sembrava un atto di doverosa solidarietà umana sostituire dove era possibile e nel lavoro rude, pesante, la macchina all’uomo. Infatti nel 1908, pur senza conoscere il tedesco, mi recai in Germania per l’acquisto di una draga per la mia cava di Castelletto di Cuggiono. Era la seconda draga in azione in Italia; lavorava giornalmente 300 metri cubi di materiale. Tale macchina destò stupore non solo tra i miei cavatori, ma anche fra tecnici e costruttori che convennero numerosi anche da Milano, per vedere e studiare la draga in funzione. Fu una iniziativa alquanto ardita, che, tuttavia, non mancò, in breve tempo, di dare frutti copiosi, cosicché nel 1931 importai dalla Germania una seconda draga. Per darvi un’altra prova del mio costante interessamento per la meccanizzazione, vi dirò che nel 1919, costituita un’impresa per grandi lavori stradali, fui uno dei primi in Italia ad impiegare compressori a nafta. Per quanto riguarda la navigazione fui sempre all’avanguardia anche in questo campo. Già nel 1914 avevo sul Lago Maggiore due grosse barche a motore che trasportavano pietrisco per le strade.

- La vostra attività non ha dunque conosciuto soste. Ci rallegriamo per le vostre intelligenti e fortunate iniziative nel campo del progresso tecnico. Ed ora, se la domanda non è indiscreta, quali sono i vostri progetti attuali?
- Ormai ho una certa età e potrei godermi i frutti della mia fatica. Ma quel dinamismo che ha contraddistinto la mia vita operosa, non mi permette lunghe soste. Progetti? Programmi? Vi accennerò soltanto al fatto che proseguendo nell’opera intrapresa di risanamento edilizio, non appena la guerra vittoriosa sarà conclusa, riprenderò la costruzione di altri mille locali creando un altro complesso di fabbricati sul tipo di quelli da me costruiti al posto delle indecorose casupole di Corso S. Gottardo. Ma il progetto che mi sta a cuore è un altro. Non è un progetto a scopo di lucro. Come tutti coloro che debbono la loro fortuna ad una definita specie di attività, sebbene non più giovane d’anni, ho l’animo ancor giovane quando si tratta di problemi interessanti il Naviglio e la Darsena milanese. Vi assicuro che nulla ho tralasciato, ed ancor oggi tento tutte le vie, per provocare il trasferimento dell’antica Darsena esistente da quasi quattro secoli in Milano nei pressi di Porta Ticinese. Sono disposto a sostenere altre spese personali per la soluzione di questo problema di grande interesse per la nostra città e per la Nazione intera, nei suoi riflessi eminentemente autarchici. I motivi che persuadono al trasporto si possono così riassumere: ragioni igienico-sociali e del traffico. Al primo ordine di tali ragioni appartiene il fatto che le zone della periferia della città, sulle quali si potrebbero far sorgere le nuove opere, stanno per essere invase dal rapido avanzare dell’edilizia cittadina, sicché ogni indugio comprometterebbe la convenienza economica dell’esecuzione delle opere stesse. Le ragioni igienico sociali sono evidenti di per se stesse, basti citare che il vasto bacino idrico quasi immoto sottrae una vasta zona urbana (circa 6.000.000 di mq.), ad una razionale e proficua utilizzazione, che la presenza di tale bacino e degli inerenti ingombri, sono causa di forte svalutazione degli stabili esistenti e compromettono il sorgere di moderne costruzioni a carattere non popolare. Le esigenze del traffico mettono in evidenza che la Darsena è ormai satura in fatto di movimento di merci per via d’acqua, tanto che non è possibile aumentare l’attuale traffico aggirantesi sulle 500 mila tonnellate annue.
Inoltre le infelici condizioni del Naviglio Grande sorto circa otto secoli or sono (1177), le insufficienze della Darsena che in fatto di estensione liquida (18.000 mq.) e di profondità d’acqua (m. 1,20 se considerata a bacino sgombro dei depositi che il fiume Olona apporta), l’ampiezza di banchine e di spazi viabili in prossimità, inducono a provvedere tempestivamente ad una nuova e radicale sistemazione delle vie d’acqua milanesi. Si potrà così, anche in accordo col noto disegno di legge ministeriale per il canale navigabile Lago Maggiore-Po, consentire di spingere il traffico fino a detto lago, anche in rapporto al fatto che la Svizzera è incline a creare il suo porto meridionale in Locarno. Allora il traffico per via d’acqua tra Milano e la Confederazione assumerà carattere di notevole importanza politico-economica. Il traffico per via d’acqua da Milano supererebbe in breve il milione di tonnellate all’anno. Questo è un problema che vorrei vedere risolto prima di chiudere la mia vita, questo è il progetto che mi appassiona ed al quale intendo contribuire perchè venga presto tradotto in un’opera i cui benefici vantaggi saranno immediati.
- Siamo lieti di aver contribuito con questa intervista a far conoscere una singolare figura di pioniere della navigazione interna, ma più ancora di aver accennato ad una questione che ci sta tanto a cuore e la cui importanza non mancherà di destare tutto l’interesse che richiede presso le Autorità competenti.
LUIGI LAZZARINI


 (Da «Tecnica Fascista» n. 13, 10 luglio 1941-X)


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IL TRASFERIMENTO DELLA VECCHIA DARSENA

TRASFERIMENTO DELLA DARSENA
DI PORTA TICINESE A MILANO

Dal 2 al 3 ottobre 1939-XVIII si tenne a Ferrara la prima adunata nazionale per la navigazione nelle acque interne d’Italia. Navigatore e strenuo sostenitore delle idrovie, ho partecipato all’adunata non solo per conoscere il punto di vista dei più eminenti tecnici e studiosi del problema generale della navigazione interna, ma anche per prospettare, per la prima volta come iniziativa privata, la questione del trasferimento della Darsena milanese.
Nella relazione che segue, comunicata all’adunata e attentamente seguita dai partecipanti, basandomi sulla mia esperienza di quasi mezzo secolo di navigazione sui navigli milanesi, ho prospettato la necessità di un organismo idrico capace di soddisfare alle impellenti esigenze del traffico milanese per via d’acqua.
Milano, che sino dalla gloriosa epoca dei Comuni ebbe fama di centro del lavoro e della finanza, dalla fine del 700 si è preoccupata di dare largo respiro alla città, imprimendole un notevole moto ascensionale, capace di apportarvi migliori condizioni di vita, favorendone, in pari tempo, lo sviluppo igienico-sociale.
Alla sua infelice giacitura, Milano seppe sopperire con provvedimenti e discipline tali da trasformarsi, in poco volgere di anni, in un centro non secondo ad altre città italiane ed estere. Gli opimi prati marcitori man mano furono distanziati; vecchi e popolati quartieri dalle casupole addossate le une alle altre e che sembravano sopraffarsi per guadagnare il cielo, vie strette, ineguali e tortuose, angusti cortili, antiche mura, tutto è quasi scomparso dal nucleo centrale della città. Caserme, stazioni, stabilimenti, istituti si sono trasferiti e vanno trasferendosi nei sobborghi.
La nuova Milano - innestatasi sulla Milano vecchia che aveva assunto aspetto definitivo solo nel periodo napoleonico, mentre più in là, tra il 1500 e il 1800 si era mantenuta pressoché immutata - «dove ha ravvistato un ostacolo alla sua espansione lo ha francamente abolito».
Anche nel campo della pubblica igiene, Milano è assurta a rinomanza di città pienamente confortevole; è del decennio in cui viviamo il definitivo seppellimento nel buio delle torbide acque correnti, con la copertura del Tombone di S. Marco e della Fossa interna, per via Statuto, P. Vittoria, P. Ticinese, sino a raggiungere l’antico ponte all’inizio del Corso di Porta Genova.

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Dopo che il piccone demolitore ha iniziato la sua opera di rinnovamento, e considerato che non c’è parte della città ove non pulsi un cantiere di lavori, riteniamo utile prospettare il problema - non nuovo per i milanesi - del trasferimento della Darsena di P. Ticinese: unico bacino idrico superstite in Milano, che occorre spostare in sede più adatta nei riflessi delle funzioni che esso riveste, e avuto riguardo alle esigenze dell’igiene e del pubblico decoro.
Da tale spostamento avvantaggerebbero immediatamente importanti quartieri a meridione della città, assurti a migliori condizioni ambientali dopo che le vecchie strutture, soverchiate e disfatte, van cedendo al pulsante dinamismo del clima mussoliniano.

UN PO’ DI STORIA

Scrive il Codara. che la Darsena di P. Ticinese, costruita nel 1603 per ordine del Governatore spagnolo Conte Fluentes, (sic) nel 1917 costituiva un bacino lungo m. 400, largo da 30 a 60 metri, con una superficie liquida di mq. 15.220. Attualmente, in dipendenza del progetto esecutivo dell’ottobre 1917 e successive modifiche, lo specchio liquido si aggira sui 18.000 metri quadrati, con una larghezza massima di m. 54.
La Darsena è sorta alcuni secoli dopo i Navigli Grande e della Martesana, con funzione di bacino-nodo dell’allora povera navigazione milanese. In essa confluivano le acque del Naviglio Grande, quelle della Fossa interna per la conca di via Arena, e ancora, le acque del fiume Olona. Dalla Darsena stessa si diparte il Naviglio Pavese, che effettivamente costituisce «quella via d’acqua che oggi unisce i canali milanesi alla grande arteria del Po».
Il Naviglio Grande fu derivato, ad iniziativa di privati, dal fiume Ticino presso Tornavento - tra il 1177 e il 1179 - a scopo di irrigare le terre e con denominazione di «Tisinello», limitatamente al tratto sino ad Abbiategrasso, ove si stacca il Naviglio di Bereguardo.
Il nome di Naviglio, con evidente significato di navigabilità, appare più tardi, quando il «Tisinello» fu prolungato sino a Gaggiano - nel 1356-57 - e non più a sola iniziativa di privati, ma con l’intervento di Martino della Torre, Podestà di Milano.
Pare che il promotore e progettista del Naviglio Grande - Beno dei Gozzadini - dalla ingratitudine della folla, a motivo dell’elevato costo dell’opera, abbia subito miseranda fine, affogato in quelle stesse acque che egli con tanta previdenza aveva saputo convogliare a beneficio dell’agro lombardo.
Il cavo «Tisinello», con l’aggiunta del Naviglio di «Gazano o Gaggiano», solamente verso la seconda metà del 300 fu spinto nelle vicinanze della città, mentre la sua definitiva entrata in Milano (dopo un percorso di circa 50 chilometri e una portata all’origine di mc. 65, ridotti a 12 all’arrivo in Darsena al ponte dello Scudellino), fu dovuta all’inizio della costruzione della Cattedrale (1386), dopo che Gian Galeazzo Visconti ebbe assegnato alla fabbrica del Duomo le cave di marmo di Candoglia, frazione del comune di Mergozzo in val di Ossola.
Il Naviglio Grande fece dapprima capo alla Darsena di S. Eustorgio (nel 1603 sistemata a darsena di P. Ticinese), che per l’inoltro delle barche cariche di marmi del Duomo fu successivamente collegata per Via Arena alla Fossa interna, sino a raggiungere un bacino o laghetto, esistente nei pressi del non allora ancor sorto Ospedale Maggiore, dovuto al dilagare delle acque della stessa Fossa interna, confuse con quelle del fiume Seveso. Detto laghetto fu interrato nel 1857.
Il Naviglio di Pavia ha origine alla Darsena di P. Ticinese, con una portata all’uscita di mc. 11,50 e con scarico in Ticino poco a valle di Pavia, dopo un percorso di circa 33 chilometri. Un naviglio di Pavia, che non corrisponde esattamente all’attuale, tra il 1359 e il 1365, fu ricavato seguendo l’andamento di un antico «Navigliaccio» sino a Pavia, e pare per esclusivo screzio del grande parco annesso a quel castello visconteo. In origine, il canale non era navigabile, almeno nel suo tratto fino a Binasco, tanto che Galeazzo Maria Visconti il 1 giugno 1473 avvertiva il capitano sopraintendente del parco, di provvedere «che se facia un Naviglio da Binasco ad quella nostra città da Pauia». L’incarico fu affidato al Bertola da Novate, e il canale appare compiuto sul finire del 1475 per quanto non in soddisfacenti condizioni di navigabilità. Durante il dominio spagnolo, le cose peggiorarono; solo verso la fine del 1500, si provvide a radicali sistemazioni su progetti del Meda, cui fecero seguito ulteriori modifiche, riprese e sospensioni dei lavori. L’intraprendente governatore, Pietro de Acevedo Conte de Fluentes, precorrendo i tempi, tentò di magnificare l’opera sua, facendo collocare sul ponte d’uscita delle acque della Darsena (poi detto Ponte del Trofeo), un pomposo monumento la cui lapide ricordava l’apertura del Naviglio di Pavia come fatto compiuto. Il monumento fu demolito nel 1865: lapide, trofei e stemmi si conservano nel cortile della Rocchetta al Castello.
In effetti alla realizzazione del Naviglio di Pavia ha provveduto l’astro napoleonico, che nel giugno 1805 decretava la costruzione del Naviglio da Milano a Pavia quale oggi ci appare. Le feste inaugurali si svolsero il 16 agosto 1819.
E per ultimo ricordiamo il Naviglio della Martesana, derivato in sponda destra del fiume Adda al Castello di Trezzo, con una portata di mc. 34, e che dopo un percorso di circa chilometri 39, sfociava nel Tombone di S. Marco, dal quale aveva origine la Fossa interna. La costruzione fu decretata dal Duca Francesco Sforza il 1 luglio 1457; nel 1465 il canale figurava ultimato e si prescrivevano le modalità per la distribuzione delle acque di irrigazione. In un primo tempo la Martesana non scaricava nella Fossa interna, ma in vicinanza della città; fu Ludovico il Moro che nel 1496 ordinò il congiungimento di essa con la Fossa interna.
Oggi la Darsena e i navigli fanno parte del Demanio dello Stato e vi sopraintende l’Ufficio del Genio Civile di Milano.

MOTIVI GIUSTIFICANTI IL SOLLECITO

Veniamo ora alle ragioni che persuadono allo spostamento in località più adatta della vecchia Darsena la quale, giova ripetere, è il solo bacino idrico ancora scoperto in aderenza alla seppellita cerchia dei navigli.
Tali ragioni rafforzano il presupposto che, sulla Darsena stessa pende in via assoluta la «spada di Damocle», tanto che non pare possibile come abbia potuto resistere al soffio della modernità. Non può sfuggire nemmeno al superficiale osservatore come, o presto o tardi, si imporrà il trasferimento di così vasto bacino d’acqua a lento deflusso, soggetto a periodici spurghi, durante i quali esalano miasmi e malodori.
Un complesso di circostanze reclama tale spostamento in osservanza delle moderne esigenze della vita civile, onde eliminare quelle condizioni di fatto che della zona a sud della città fanno la parte meno preferita di Milano.

1 ) Ragioni contingenziali:
Le nuove costruzioni edili che sorgono sulla base del piano regolatore di massima (il quale non contempla lo spostamento della Darsena) anche nella vastissima zona limitata dal Naviglio Grande e da quello di Pavia, hanno raggiunto un’estensione tale da far ritenere imminente l’invasione anche di località adatte per una razionale ubicazione di una nuova Darsena e conseguente deviazione del Naviglio Grande.
Alla Barena, non lungi dal capo linea del tram 12, nuovi vasti caseggiati quasi tendono la mano alla vicina cascina Boffalora, e non tarderanno a formare un effettivo sbarramento al sorgere di impianti del genere di quelli che lo spostamento della Darsena importerebbe. Fra uno stabilimento in costruzione (punto C della cartina) sulla via Barona, e un vecchio fabbricato esistente (osteria), in angolo con la via Boffalora, per soli metri 160 circa, il terreno è ancora libero per modo da potervi ubicare le nuove opere, secondo un breve percorso. Nelle odierne condizioni di fatto, e considerato che anche le zone al Ronchetto e alla Chiesa Rossa (punti D-A), rispettivamente luogo d’origine dell’eventuale nuovo tratto del Naviglio Grande e luogo di sede della nuova Darsena, non sono ancora invase da costruzioni, i nuovi impianti sarebbero giustificati anche sotto l’aspetto di un giusto momento economico. Inoltre il vasto piano di campagna a occidente della Chiesa Rossa è di oltre quattro metri più basso del pelo d’acqua del Naviglio di Pavia, di modo che l’invaso per la nuova Darsena si presenta già predisposto.
Tra uno o due anni a condizioni cambiate, ovvero peggiorate sotto l’aspetto del costo dell’opera, la convenienza economica sarebbe talmente compromessa da costituire serio imbarazzo, con giustificato appunto alla generazione attuale di mancata previdenza nei riguardi d’un problema di così vitale importanza.

2) Ragioni igienico-sociali:
Chi arriva a Porta Genova o a Porta Ticinese, alla vista di sì vasto bacino d’acqua, quasi immoto, stendentesi dall’uno all’altro settore cittadino, non può a meno di riportare l’impressione di trovarsi, non a due passi dal Duomo, sibbene, in un sobborgo, battuto da pesanti automezzi, da carri e da marnoni, ingombro di enormi cumuli di materiali terrosi con l’orizzonte impedito da mastodontici alti cassoni di legno facilitanti lo scarico e carico di tanta materia povera (ciottoli, ghiaia, graniglia, sabbia, laterizi, pietre, ecc. ecc.) destinata all’edilizia cittadina.
Se la seppellita Fossa interna con i suoi suggestivi specchi d’acqua, con i cantucci pittorici che potevano anche ricordare ...Venezia, ha dovuto cedere all’avanzante modernità ed alle esigenze di una Milano che è in continuo fervore di rinnovamento, si può a ragione domandarsi: e perchè non scompare anche la vecchia Darsena dalle torbide acque e dalle ingombranti banchine?
Sono migliaia di metri quadrati di area fabbricabile che da uno stato di cose... tollerato vengono sottratti ad una più razionale e proficua utilizzazione, mentre nel cuore di vasti, industri e popolati quartieri permangono condizioni di fatto anti-sociali ed anti-igieniche. Svalutazione degli stabili prospicienti il bacino, zanzare d’estate e maggiori nebbie d’inverno, miasmi esalanti nell’epoca delle asciutte (due volte l’anno: in primavera e autunno), frastuono di pesanti veicoli, difficoltà di comunicazioni, un caotico agglomeramento di materiali diversi: tutto un coro, insomma, non inneggiante alla conservazione della Darsena. Da considerare che ivi sorge un vasto gruppo di scuole pubbliche, una clinica medica di antica rinomanza, una bella e recente costruzione che il Fascismo ha fatto sorgere a luogo di raccolta della gioventù milanese nel nome eroico di «Antonio Cantore».
A P. Ticinese, poi, una nuova sistemazione stradale eliminerebbe le «montagne russe» dovute ai due ponti sui navigli.
Non trascurabile il fatto, che la malaria non è forse definitivamente cancellata dalle tabelle nosologiche della Provincia e della città di Milano.
È noto come le acque stagnanti siano condizione sine qua non per l’esistenza della zanzara malarigena (anofele) che per la nostra Provincia appartiene esclusivamente all’«anophelis maculipennis». Onde chi può garantire che, sia pure in minima parte, la vecchia Darsena, con le sue torbide acque e la sua fanghiglia, e i navigli con le loro infiltrazioni d’acqua stagnante alle sponde, non concorrano alla permanenza del morbo anche limitatamente alla forma leggera di terzana?
Tutto insomma converge contro la conservazione di tale non edificante stato di cose: la bonifica agli effetti dell’edilizia urbana, la convenienza di ricavare nuove vie di comunicazione, l’opportunità di eliminare quanto ostacola il traffico fra i due navigli (soprapassaggi), la necessità di allontanare una rete di canali e di canaletti, che sono fonte di umidità tale da sconsigliare chi intendesse elevare costruzioni. Elementi questi e circostanze di fatto, che debbono influire sulla sollecita attuazione dell’importante problema di sistemazione cittadina, anche per il miglior decoro estetico di Milano: decoro al quale non può essere estranea la città che ospitò Leonardo precursore anche nel campo della razionale edilizia cittadina.

3) Ragioni tecniche e del traffico:
La costruzione di una nuova Darsena ancora a sud della città potrebbe anche costituire l’inizio, il punto di partenza della futura grande navigazione interna, da tanti anni auspicata per la più grande Milano, e quale trasporto autarchico per eccellenza. Il traffico che fa capo all’attuale Darsena è stato sempre contenuto entro limiti ristretti in quanto non si è mai potuto raccogliere anche il traffico di provenienza dal Lago Maggiore. La regolazione delle acque del lago, che è in via di attuazione (sono iniziati i lavori dello sbarramento di regolazione alla rapida Miorina, poco a valle di Sesto Calende, e il nuovo organismo funzionerà entro il 1941), ed i progettati allacciamenti delle nuove arterie d’acqua con il canale industriale, anche per una maggiore utilizzazione delle acque del Ticino, promuoveranno, indubbiamente, un notevole incremento del traffico scendente anche dal bacino del Verbano, (legna, calce, graniti, ecc.) e perchè no?, anche dalla vicina Svizzera, dato che nessun mezzo di trasporto può gareggiare in fatto di costi con quello per via d’acqua ([1]).
E nei riguardi della Svizzera (che oggi per le esigenze imposte dal conflitto anglo-franco-tedesco va subendo gravi danni nel suo commercio, soprattutto per la sospensione della navigazione renana), dando uno sguardo alla carta d’Europa emerge subito che la via più breve, e quindi meno dispendiosa per i rifornimenti svizzeri, dall’oriente, passa per l’Adriatico, la valle Padana e il Lago Maggiore, per far capo alle ferrovie federali a Locarno o a Bellinzona ([2]).
Prendendo come punto di passaggio il canale di Suez, da Porto Said a Venezia risultano miglia 1305, e per Marsiglia miglia 1515. Via Gibilterra, da Porto Said per Amburgo, Brema, Amsterdam, Rotterdam e Anversa le distanze variano tra 3300 e 3600 miglia.
Da queste eloquenti cifre si deduce che la Svizzera dovrebbe trovare evidente convenienza a crearsi uno sbocco al mare, via Milano-Venezia, quale itinerario immediato e di maggior profitto.
Per il Naviglio Grande e per quello di Pavia converge in Darsena un traffico di oltre 450.000 tonnellate l’anno, pari ad una flottiglia natante di circa 5500 barconi, di materiali vari destinati all’edilizia cittadina, mentre vi affluisce anche notevole traffico spicciolo da Abbiategrasso a Milano e località intermedie.
Da notare che il traffico della modesta Darsena di Porta Ticinese, pur in presenza di un organismo ormai troppo vecchio ed inadeguato ai crescenti bisogni, secondo una statistica del 1936 è stato di tonnellate 401.980, contro tonnellate 346.000 del porto di Bari, tonnellate 333.000 di Messina, 123.000 di Brindisi e 110.000 di Siracusa.
Il porto di Ancona, in quell’anno, ha superato di poco il traffico del bacino idrico milanese, con un movimento complessivo di tonnellate 441.000.
Lo sviluppo utilizzabile delle attuali banchine è di circa m. 500, con una superficie libera per le manovre di scarico e carico, soste e depositi, di mq. 13.000, che le esigenze del traffico denunziano come insufficienti, tenuto presente che larghi cumuli di materie terrose, vasti spiazzi occupati dai così detti silos o cassoni contenitori, il continuo andirivieni di veicoli di ogni specie, richiedono vaste banchine, perchè il normale traffico, quello di punta nei momenti di massima richiesta di materiali, e quello che in avvenire certamente si verificherà, possano svolgersi con il dovuto ritmo. Anche lo specchio d’acque della Darsena non risponde alle attuali, e meno ancora alle future esigenze della numerosa flottiglia di barche e barconi. I grossi natanti delle dimensioni di ml. 40 x 6 (compreso il timone) e della portata massima di circa 1000 q.li, quando alla fine della giornata vi convergono in buon numero per le occorrenti manovre, a stento possono muoversi nel ristretto specchio d’acqua che in effetti misura una larghezza massima di ml. 54, poco più della lunghezza di un barcone.
La profondità d’acqua della Darsena di circa m. 1,20, non sempre tale a causa dei depositi che facilmente vi si formano, è insufficientissima ai fini di una normale, sollecita navigazione, e peggio quando si faccia caso al fatto che il fiume Olona altera frequentemente le quote di fondo; con le sue piene trascina con irruenza detriti di ogni sorta, tanto da riempire talvolta la Darsena in brevissimo tempo creando seri imbarazzi alla navigazione.
Tutto considerato, anche sotto l’aspetto pratico delle impellenti necessità del traffico, evidenti circostanze di fatto obbligano a provvedere tempestivamente ad una nuova sistemazione delle vie d’acqua verso P. Ticinese. Tale problema porterebbe implicitamente anche alla sistemazione, con moderni ed adeguati criteri tecnici, dell’intera asta idrica che per mezzo del vecchio Naviglio, risalendo verso nord, dovrebbe raccogliere gran parte del traffico che si svolge fra Milano e le sponde del Verbano, del lago di Mergozzo e della vicina Svizzera.

OPERE NUOVE

Le considerazioni svolte nei riguardi dell’attuale e del futuro traffico per via d’acqua, suggeriscono larga previsione nei riflessi del movimento avvenire della navigazione milanese. Il traffico potrà superare le 800.000 tonnellate all’anno di soli materiali per l’edilizia, mentre va tenuto nel debito conto l’eventualità di un futuro maggior incremento degli scambi in genere, da superare, un giorno, il milione di tonnellate annue.
Occorre quindi almeno triplicare l’ampiezza dello specchio d’acqua in Darsena, e ciò per il libero muoversi dei natanti in arrivo, in partenza ed in sosta. Tale previdenza importerebbe, implicitamente, un notevole aumento anche delle relative banchine delle quali, ripetiamo, oggi tanto si lamenta la palese insufficienza.
Deciso il sorgere di una nuova Darsena, questa non potrebbe essere ubicata che sulla direttrice del traffico verso Pavia, nel vasto piano di campagna - ancora sgombro di impedimenti - situato in località «Chiesa Rossa» a circa 2500 metri da Porta Ticinese sulla destra del Naviglio di Pavia (punto A. della qui annessa planimetria), poco oltre la svolta del tram 3 per via De Sanctis.
Ivi la Darsena, convenientemente disposta, potrebbe assumere una superficie liquida di oltre 50 mila mq. in confronto dei 18.000 attuali, uno sviluppo di quasi due chilometri di banchine in luogo dei 500 metri oggi disponibili, ed una superficie utile per le manovre di scarico e carico, di oltre 35.000 mq. rispetto ai 13.000 attuali. La profondità del bacino verrebbe portata a ml. 4 stante che l’invaso è già pronto, mentre oggi, come già detto, l’altezza è di m. 1,20, se considerata a bacino sgombro di quei depositi di fondo che con tanta frequenza si formano ai danni della navigazione. Nella nuova Darsena (proposta N. 1) sfocierebbe ancora il Naviglio Grande deviato secondo il percorso H-D-C-B, per scaricare nel Naviglio di Pavia al punto G a circa ml. 300 dopo il dazio cittadino, e un percorso di ml. 4050 prima della nuova Darsena alla Chiesa Rossa, ml. 2400 dopo la Darsena stessa, e una distanza di metri 4900 da Porta Ticinese.
Tale deviazione avrebbe inizio a sud della cascina «Chiesola» (punto H) in quel di Robarello di sopra, a poco più di cinque chilometri dalla vecchia Darsena, per modo di sottopassare la strada provinciale per Abbiategrasso, opportunamente rialzata, nel tratto fra la detta Cascina Chiesola e il dazio di Milano, al Ronchetto, (punto D).
Prima di sottopassare la strada provinciale, converrebbe creare una non vasta Darsena sussidiaria, indispensabile, data la convenienza di ivi scaricare i materiali destinati ai quartieri situati oltre P. Magenta e S. Siro, i quali richiederanno sempre più forti forniture. Gli accessi alla Darsena sussidiaria, anche da S. Siro, potrebbero avvenire per l’esistente passaggio a livello sulla ferrovia Milano-Mortara in stazione di S. Cristoforo.
Il Naviglio Grande, deviato secondo H-D-C-B-G, assumerebbe un percorso complessivo di circa m. 6450, quasi tutto in aperta campagna, sopra il quale agevolmente si potrebbero creare convenienti punti di passaggio fra l’una e l’altra sponda, in armonia con le esigenze della viabilità e col piano regolatore di massima che, al caso, potrebbe subire opportune rettifiche.
Dal trasloco della Darsena deriverebbe la disponibilità dei tratti D-E ed E-A-G degli attuali navigli, che all’evenienza assumerebbero funzione di ampi ed invitanti viali per una lunghezza di circa km. 10, onde portare in quei popolosi quartieri fervore di vita nuova, maggior decoro cittadino, sicura convenienza anche in fatto di edilizia non solamente a tipo popolare.
Dopo la trasformazione del tratto del Naviglio di Pavia in un largo viale e la scomparsa del vasto, inadeguato bacino d’acqua di P. Ticinese, a mezzodì della città si presenterebbe un accesso decoroso e degno di rilievo per chi dalla moderna arteria stradale dei «Giovi» (che è la via di maggior traffico tra Genova e Milano), entrasse in città dalla monumentale porta disegnata dal Cagnola ed eretta a ricordo dei fasti di Marengo.
Bonifica cittadina, quindi, che solamente il Fascismo, già esperto propulsore delle opere più ardite di elevazione della vita sociale, potrebbe attuare con prontezza e giusta sapienza, tenuto anche conto che il problema di sistemazione delle vie d’acqua nel milanese entra nel quadro informativo di quell’autarchia nazionale che è alla base della moderna economia corporativa.
Con la proposta N. 2 si tenderebbe ad allontanare ancor più l’organismo della navigazione milanese dai margini dell’abitato cittadino, sospingendolo il più possibile verso gli estremi limiti meridionali del piano regolatore di massima. Con tale soluzione, secondo la linea D-M-N-G, si eviterebbe la stretta in C, collocando altresì entro la nuova linea dei navigli tutto quanto va assumendo sviluppo d’opera a sud della Barona e nei pressi delle Cascine Molini, Boffalora, Fontecchio, Caimera ed altre. Inoltre l’andamento planimetrico del nuovo canale anche nel tratto D-M-N risulterebbe quasi rettilineo, mentre agevolmente si potrebbe arrivare dalla Via Pavese alla nuova Darsena (N. 2) mediante un largo viale disposto a guisa di piazzale per il breve tratto B-A, antistante alla Chiesa Rossa.

CONSIDERAZIONI GENERALI E CONCLUSIVE

La realizzazione del problema, qui prospettato nelle sue linee di grande massima, richiederebbe quindi pronta azione, considerato che ogni indugio cagionerebbe un maggior onere e forse anche il profilarsi di circostanze avverse alla esecuzione delle opere.
Per le utenze si osserva, che le irrigazioni delle terre, dopo l’estendersi dell’edilizia cittadina, hanno perduto la loro ragione di essere; se mai ai pochi bisogni del genere si provvederebbe lasciando defluire la poca acqua occorrente, ancora nel vecchio alveo del Naviglio Grande, oppure con derivazioni dal tratto del nuovo canale compreso fra il Ronchetto e la nuova Darsena alla Chiesa Rossa.
La vecchia Conca Fallata verrebbe ripetuta con moderne modalità costruttive sul tratto B-G di nuovo canale, ridando l’attuale produzione di energia all’industria che già ne fruisce, mentre le condizioni altimetriche del terreno obbligherebbero forse alla formazione di altra conca superiormente alla nuova Darsena, e il cui salto offrirebbe a sua volta altra energia a proficua disposizione degli utenti.
Da tale nuovo sistema idrico le provenienze da Pavia si avvantaggerebbero in fatto di percorso contro corrente, con minore spesa di tempo e di denaro.
È noto come Pavia segua con appassionato fervore l’andamento della sua navigazione (nella città ticinese esiste un nucleo fondamentale di opere portuali), e un maggior potenziamento sarà realizzabile con la elettrificazione delle conche sui navigli, con un miglior attrezzamento del porto fluviale, e con l’adozione di uno speciale tipo di rimorchiatore di convogli, rispondente alle condizioni di fatto ed alla convenienza di usare, per l’azionamento, gas di produzione nazionale.
Gli attuali mezzi meccanici, riducendo notevolmente le distanze ed i tempi, consentono di effettuare gli occorrenti trasporti con lieve maggiorazione di costi, senza incidere in modo pregiudizievole sui preventivi di spesa. E in fatto di trasporti torna opportuno ricordare che tardando il provvedimento del trasloco della vecchia Darsena, le nuove costruzioni, che rapidamente vanno sorgendo ovunque, obbligherebbero ad uno spostamento delle correnti di traffico, per via d’acqua, a troppa distanza dalla città, con maggior aggravio per i trasporti dal bacino di smistamento delle merci al centro cittadino e alle zone periferiche.
La capienza delle nuove darsene (principale e sussidiaria) consentirebbe un maggior traffico di materiali anche di lontana provenienza lungo il Naviglio Grande, permettendo alle competenti autorità di negare concessioni per cave di ghiaia e di sabbia, che con troppa frequenza e con poco rispetto alle esigenze e al decoro di una grande città, si aprono ai margini dell’abitato.
A questo riguardo - com’è naturale - il competente Ufficio d’igiene non dovrebbe - evidentemente - vedere di buon occhio il moltiplicarsi di tanti insalubri focolai attorno alla metropoli lombarda, nè a sopprimerli è valso l’addossare ai cavatori forti somme a titolo di deposito per l’eventuale ripristino delle zone scavate. Solamente la sistemazione del Naviglio Grande e il trasloco, con relativo ingrandimento della Darsena, metterebbero gli assuntori di cave nelle condizioni di doversi procurare altrove, lontano dalla città, lungo le sponde del capace corso d’acqua, le zone atte a fornire la ghiaia e le sabbie di cui Milano ha sempre grande bisogno in dipendenza dell’incessante effondersi della sua edilizia utilitaria.
Altre circostanze militano a favore del trasferimento della vecchia darsena. Ben 10 soprapassaggi, tra pedonali, carrabili e ferroviari, scavalcano il Naviglio di Pavia dal suo inizio al Ponte del Trofeo a quello dell’Annona in prossimità del dazio sulla via della Chiesa Rossa. Altri undici manufatti scavalcano il Naviglio Grande nel tratto da Robarello al suo sfociare nella Darsena di P. Ticinese, di cui uno in ferro, a saliscendi, per il transito di carri ferroviari, sormontato da passaggio pedonale.
La Stazione di S. Cristoforo è tagliata fuori per tutto quanto riguarda il grande triangolo racchiuso dai due navigli. Il traffico si svolge parallelamente alle sponde del canale, i vari soprapassaggi, ubicati a notevole distanza gli uni dagli altri, obbligano a lunghi percorsi, intralciano e pregiudicano il movimento, disturbano e danneggiano perennemente quelle località che hanno pure diritto ad un miglioramento delle condizioni di vita sociale anche in relazione con le progredite esigenze delle industrie e dei commerci che, in effetti, sono i gangli vitali della Nazione.
Il trasloco della vecchia Darsena tende a sgombrare ogni impedimento alla libera espansione della città su terreno asciutto e salubre. È dalle stazioni del dazio cittadino che, con la viabilità pubblica, il traffico aumenta rapidamente il suo indice del progresso industriale e commerciale. Oggi, a partire dalla linea daziaria, anche i veicoli tendono a frequentare le strade alzaie, in quanto le arterie principali non rispondono più alle imperiose esigenze dell’aumentato traffico ai bordi della grande città.
Ma v’ha di più: su quelle arterie, tra non molto, dovrà trovar posto anche il tram cittadino, onde raggiungere le estreme propaggini rappresentate dalle stazioni daziali costituenti i punti di passaggio fra la campagna e la città. Le proposte innovazioni, conseguenti allo spostamento della Darsena di P. Ticinese, importerebbero, ripetiamo, anche la formazione dei già accennati viali di accesso alla città dalle vie di Abbiategrasso e di Pavia, consentendo così di collocarvi il tram cittadino anche a doppia binario senza intralciare il traffico che certamente andrà assumendo un imponente crescendo ([3]).
I canottieri di Milano, ora non bene sistemati lungo le sponde del Naviglio Grande, da un moderno stato di cose risentirebbero notevole vantaggio. Verso la località della Barona potrebbero svolgere con larghe vedute un ampio piano di adatti luoghi di svago, servito da ampi viali, offrendo in tal modo alla città - anche nella sua parte meridionale - invitanti e comodi ritrovi per gli esercizi del nuoto e del remo. Dalla vendita delle attuali aree a loro disposizione troverebbero compenso per le maggiori spese occorrenti per il trasloco in località più adatta degli impianti sociali.
Per le acque del fiume Olona, va ricordato che esse sono destinate a scaricare nel Lambro meridionale, non appena il comune di Milano avrà provveduto anche alla loro sistemazione; cesserà così la necessità di mantenere la vecchia Darsena come punto di sfocio e di transito delle acque dell’Olona.
Va poi messa in giusta luce la circostanza che la vasta zona del bacino idrico esistente fra P. Genova e P. Ticinese (oltre 20.000 mq.), riveste carattere di area fabbricabile nel senso estimativo della parola. Situata a poca distanza dal centro di Milano, il suo valore di comune commercio non può essere che assai elevato. Tale fatto va messo in raffronto con quello riflettente i valori delle aree su cui dovrebbero sorgere le nuove opere, dal Ronchetto alla Chiesa Rossa, che rivestono valori di scambio limitati (qualche lira al mq.), e quindi trascurabili se raffrontati con l’elevato valore della zona fra P. Genova e P. Ticinese.
Si consideri poi il fatto che la superficie del vasto triangolo D-E-A valutabile, grosso modo, sui sei milioni di mq., dall’allontanamento dalla Darsena e dei navigli, risentirebbe indiscutibile vantaggio sotto l’aspetto di un avvaloramento intrinseco del terreno e delle sovrastanti realità stabili. Vantaggio che se valutabile a poca cosa nei riflessi delle singole proprietà o particelle mappali, riferito, invece, al grande, vasto insieme, riuscirebbe di inestimabile tornaconto economico per la privata proprietà immobiliare, e, di riflesso, per la collettività.
Gli eventi metereologici dello scorso settembre offrono motivo per osservare come il Naviglio Grande sia ormai un vecchio organismo la cui origine, come si è già veduto, risale a oltre sette secoli. Il suo alveo, specie nel tratto Abbiategrasso-Milano, è sottopassato da cunicoli e tomboni che non si trovano più in condizioni statiche soddisfacenti. Durante la non eccezionale alluvione del 13 settembre 1939, poco lungi dall’abitato di Corsico, per il dissolversi di uno di quei tomboni, il ragguardevole volume d’acqua del Naviglio si è in buona parte incanalato nella frattura originata dal crollo di quel manufatto, e, dilagando con notevole irruenza verso il lato destro del canale, ha asportato un breve tratto della strada provinciale e del tram (il transito è stato interrotto per alcuni giorni), allagando, inoltre, la campagna. La navigazione si è completamente arrestata con forte disappunto di quanti si avvalgono di quella importante via d’acqua.
E sia in vista dello stato di deperimento del Naviglio, sia del non agevole transito entro gli abitati di Corsico, Trezzano e Gaggiano a causa dei ponti ivi esistenti, sia del pericolo che il Naviglio rappresenta per gli automezzi lungo la strada provinciale, sia, infine, della insufficienza del piano viabile, specie nelle ore di punta del traffico, è stata ventilata l’idea di una soluzione radicale nei riguardi del Naviglio stesso.
In previsione del forte sviluppo del traffico su strada e per via d’acqua, ed allo scopo di liberare fiorenti paesi dalla indesiderabile presenza del Naviglio, si ravviserebbe la opportunità di spostare il canale, nel tratto fra Albairate e Milano, tutto a monte della ferrovia per Mortara, raccordandolo con ampia curva all’attuale sua sede verso la tomba Negri, situata a oltre 3 chilometri dal punto in cui il Naviglio piega verso Milano, all’altezza di Castelletto. Al fondo del nuovo canale si dovrebbe assegnare una quota tale da consentire di sottopassare la ferrovia, prima, e la strada provinciale, poi, in prossimità del Ronchetto (Punto D), senza bisogno di sopraelevare il piano del ferro a quello viabile ([4]).
Il Regime, che da più di un decennio ha intuito lo sviluppo della navigazione idrica, data la importanza non soltanto economica, ma tipicamente autarchica del problema, non mancherà di accordare il suo consenso alle invocate opere, avuto riguardo anche al fatto che il problema stesso tende a migliorare le condizioni ambientali di tanta parte di Milano; di quella Milano che è sempre all’avanguardia quando si tratta del potenziamento autarchico della Nazione, e che spingendo il tumultuoso fervore delle sue industrie «innalza l’orgoglio monumentale della sua opulenza, là dove 50 anni addietro si potevano cercare soltanto ombrose solitudini e rustiche osterie».
E se anche il problema fosse di interesse locale (nel caso occorre tener peraltro presente che il fatto locale è strettamente legato ai destini di una grande città e della regione più industriale e commerciale d’Italia), non è poi detto che dovrebbe essere subordinato al sorgere di un grande canale fra Milano e il mare, capace di natanti di notevole portata.
In tale evenienza, la rete idrica milanese potrebbe essere - a suo tempo - convenientemente collegata con tale futura grande opera, che ha però per presupposto una costante, possibile, esperimentata, navigazione sul Po, o, in difetto, la formazione di adatti canali paralleli al suo corso ([5]).
Per ora (anzi entro il 1941, epoca in cui la regolazione delle acque del Lago Maggiore sarà un fatto compiuto), si potrebbe convenientemente, e in tempo utile, provvedere alla navigazione fra Milano ed il Lago Maggiore mediante la sistemazione dell’esistente Naviglio Grande, che da sette secoli giace immutato! Ciò - evidentemente - costituirebbe fatto di vera e pronta autarchia, ai fini di concorrere ad assicurare alla Patria, anche in questo campo, l’indipendenza economica, senza la quale non può esservi indipendenza politica.

[1] La Diga della «Miorina» in effetti, doveva essere ultimata entro il 1941. Le attuali contingenze belliche hanno determinato un rallentamento nell’esecuzione dei lavori. Si prevede che la ultimazione dell’importante opera possa avvenire entro il 1942. II grande sbarramento di regolazione del Verbano entrerà allora in funzione, apportando tutti quei benefici che da un maggior invaso di 315 milioni di mc. d’acqua nel Lago Maggiore, ne deriveranno.
[2] Del vivo interessamento della Svizzera per il suo collegamento col mare, ne fa fede una recente comunicazione (Gazzetta del Verbano del 20-9-41), relativa ad un progetto di massima sul «Come sarà il Porto di Locarno», dovuta all’ing. Emilio Forni, Consigliere di Stato e Capo delle Costruzioni del Dipartimento Cantonale del Ticino.
Recentemente si è costituito un «Comitato Locarno - Venezia», allo scopo di studiare il problema relativo al sollecito inizio della preconizzata linea navigabile fra la Svizzera e l’Adriatico.
[3] Il vecchio alveo del Naviglio, secondo il pensiero del comm. Acquati, già Presidente dell’Azienda Tranviaria Municipale, verrebbe adibito a percorso in trincea del tram cittadino, liberando la via pubblica, la quale, attualmente, non risponde alle esigenze di una grande arteria. (Tecnica Fascista del 10-8-41).
[4] Chi scrive ha fatto recentemente compilare un progetto di grande massima per l’impianto di una Darsena sussidiaria in località «Robarello» e di una Darsena principale alla «Chiesa Rossa», sulla via pavese. La Darsena sussidiaria verrebbe ubicata a monte della ferrovia Milano-Vigevano, col presupposto di trasferire oltre la ferrovia stessa, il tratto del vecchio Naviglio compreso fra Robarello e Castelletto di Albairate (Km. 20). Questo, non solo per liberare centri abitati dalla presenza del vecchio corso d’acqua e relativi ingombranti manufatti, ma altresì per rendere attuabile rimpianto di un canale rettilineo, rispondente a tutti i requisiti della tecnica e costituente una moderna via di navigazione situata fuori da ogni impedimento capace di menomare l’efficienza del traffico, per modo da assicurare un vantaggioso impiego dei mezzi di trazione.
[5] In relazione a quanto praticasi all’estero, segnatamente in Germania e nel Belgio, ove lo scrivente ha potuto visitare imponenti impianti di opere del genere, in fatto di navigazione interna risulta la convenienza di creare canali interni per assicurare l’esercizio della navigazione per tutto l’anno. Sorge quindi la necessità. da tempo sostenuta da chi scrive, di creare un canale anche fra Mantova e Cremona; idea, questa, che ha trovato autorevoli sostenitori anche in seno all’ «Unione di Navigazione interna dell’alta Italia», specie dopo l’ulteriore sottrazione d’acqua al Po (mc. 100) per l’alimentazione del canale Emiliano-Adriatico.
Ad avvalorare l’argomento si ricorda qui che l’ing. comm. Giuseppe Baselli - Capo degli Uffici tecnici municipali di Milano - in sede di adunata del Consiglio dell’anzidetta Unione, tenutasi in Venezia l’11 giugno u. s., nei riguardi della convenienza di servirsi di un canale anche fra Adda e Mincio, così si è espresso: «Per quanto riguarda l’utilizzazione del fiume Po per la grande navigazione, tenuto conto del forte prelievo d’acqua di Boretto, ritengo sia ineluttabile la costruzione del canale Cremona-Mantova, per poter efficacemente utilizzare la linea navigabile, Mantova- Tartaro-Canal Bianco-Adriatico, in corso di realizzazione».
Il Podestà di Venezia, comm. ing. G. B. Dall’Armi, Consigliere Nazionale, con l’autorità che gli deriva dalla sua alta competenza in materia, e quale rappresentante gli interessi della sua città, ha prospettato all’adunanza l’inderogabile necessità della costruzione del canale Cremona-Mantova.
E il cav. di gran croce, ing. Luigi Miliani, Presidente del Magistrato alle acque, dopo di aver illustrate le caratteristiche tecniche del canale, ha voluto affermare che la questione della via interna Mantova-Cremona, è già allo studio presso gli organi competenti.
Auguriamo, quindi, che tale opera sia tradotta in fatto, date le condizioni topografiche della zona assai favorevoli e stante la necessità di stabilire un valido anello di congiunzione fra le due grandi tratte: Lago Maggiore-Milano-Cremona e Mantova-Canale Mussolini-Mare Adriatico, ritenuto anche che i traffici «si avviano per quelle comunicazioni attraverso le quali essi possono svolgersi con la maggior regolarità e il minimo costo».