PREMESSA
L’interesse
che in questi ultimi anni ha suscitato il problema della navigazione interna in
Italia, mi ha indotto a raccogliere in un volume gli scritti miei e quelli di
collaboratori e studiosi, in merito al trasferimento della vecchia Darsena
milanese di Porta Ticinese. Tale problema, infatti, si inquadra egregiamente
nel complesso delle opere in via di realizzazione, che riflettono la
sistemazione definitiva delle idrovie nella Valle Padana; anzi, sotto certi
aspetti - e in modo particolare per quanto riguarda la metropoli lombarda -
assume valore di primo piano per alcune ragioni appunto esposte in articoli e
memorie che formano oggetto della presente pubblicazione.
Il
trasferimento della Darsena di Porta Ticinese, non rappresenta soltanto una mia
idea, un personale punto di vista e neppure è dovuto ad improvvisazione.
Tecnici, igienisti, e quanti si occupano dell’assetto futuro di Milano, hanno
prospettato e caldeggiato la necessità inderogabile della soppressione dell’attuale
bacino per crearne uno nuovo, in località più adatta e meglio rispondente allo
scopo. Ritenendo maturi i tempi e propizie le condizioni per realizzare tale
progetto, assertore della utilità di affrontare e di risolvere oggi - per
quanto e dove è possibile - i problemi del dopo-guerra vittorioso, almeno nelle
loro grandi linee basilari, ho creduto opportuno radunare e ordinare gli
scritti apparsi recentemente sulla Darsena milanese. Il profano potrà seguire,
le alterne vicende che portarono al mio progetto di trasferimento della Darsena,
ed il tecnico trarre gli elementi ed i dati di fatto per formarsi un giudizio
sereno sull’argomento.
E
qui tengo a mettere in rilievo un elemento essenziale di carattere immediato e
futuro: la località in cui dovrebb’essere trasferita la vecchia Darsena è la
più opportuna, il che anche le Autorità interessate hanno riconosciuto, e
conseguentemente la nuova sistemazione assumerebbe forma stabile e definitiva.
Questo ho inteso precisare perchè, se sorgeranno eventuali critiche al progetto
si sappia che le soluzioni provvisorie o le mezze misure, non solo
rappresentano palliativi dannosi, ma creano oggi per disfare domani.
Per
l’economia del volume ho suddiviso la materia in una serie di capitoli i quali
singolarmente si riferiscono a particolari aspetti o a pratiche inerenti al
trasferimento della Darsena. Così agli scritti ho aggiunto la parte più
significativa del carteggio scambiato col Ministero dei Lavori Pubblici e con l’Ufficio
tecnico del Comune di Milano, a testimonianza dell’opera da me svolta anche
attraverso gli organi competenti per prospettare ad essi l’utilità e la
necessità immediata di una pronta realizzazione della nuova Darsena. Infine ho
ritenuto opportuno aggiungere alcune tra le molte adesioni che mi sono
pervenute, per dimostrare come consensi ed incoraggiamenti abbiano confortato e
sorretto la mia tenace volontà.
Qualcuno
si chiederà il motivo del mio diretto intervento per la soluzione del problema
della Darsena milanese. Premetto che ho sempre avuto presente la visione generale
degli interessi di tutti indistintamente i navigatori, ed anche la
insufficienza dell’attuale bacino idrico a contenere il traffico che si svolge
sui navigli. Se consideriamo le esigenze del dopo-guerra, si dovrà riconoscere
che la Darsena di Porta Ticinese risulterà inefficiente. Queste soltanto sono
le preoccupazioni e gli scopi del mio personale interessamento, sorretto da
mezzo secolo di vita e di esperienza sui navigli. La mia passione di pioniere e
di vecchio navigatore, di studioso delle idrovie lombarde, mi ha indotto a
persistere nella mia convinzione sull’utilità del trasferimento della Darsena.
Ora tale convinzione ha superato i limiti di una mia personale valutazione, in
quanto che alla Darsena sono strettamente collegati il futuro sviluppo della navigazione
interna che fa capo a Milano e le necessità dell’edilizia milanese nel
dopo-guerra. Solo per queste ragioni ho dedicato e dedico tempo e mezzi alla
realizzazione di un progetto ormai maturo.
Oltre
alle necessità tecniche occorre tener presenti quelle economiche. Infatti il
trasporto per via d’acqua, specie dei materiali poveri, è il più conveniente ed
inoltre il più autarchico. E siccome l’autarchia non è soltanto dovuta alle
attuali contingenze, ma ad una precisa direttiva programmatica del Regime,
lasciamo da parte le discussioni sterili, i ricordi romantici di qualche
passatista, e diamo a Milano la nuova Darsena, quale necessita al suo grande
sviluppo di domani, nel quadro del nuovo posto di preminenza che l’Italia si
sta conquistando nella rinnovata Europa.
E
qui sento di dover esprimere la mia particolare gratitudine al geom. cav.
Achille Piccini per l’assidua collaborazione tecnica e giornalistica svolta in
favore della nuova sistemazione della Darsena milanese e dei vecchi navigli.
Mi
lusingo di contribuire con quest’opera ad affrettare il trasferimento della
Darsena di Porta Ticinese. Autorità, Enti interessati, tecnici e studiosi
potranno pertanto trarne tutti gli elementi per lumeggiare, nei suoi molteplici
aspetti, un problema, che da tutti è ormai ritenuto maturo per una pronta
soluzione.
GIUSEPPE
CORMANI
Milano, dicembre 1941
* * *
UN
PIONIERE DELLA NAVIGAZIONE INTERNA
Un uomo che ha avuto fede
nella «via che cammina». - Programma autarchico di quarant’anni fa - Il
rifornimento milanese di sabbia in rapporto allo sviluppo edilizio cittadino -
Dalle vie d’acqua alle strade - La soluzione del problema della Darsena, ultima
aspirazione di colui che ha saputo valorizzare il Naviglio
L’importanza
della navigazione interna sia dal lato economico, sia da quello della sicurezza
del trasporti, è stata ampiamente documentata, in modo particolare nell’ultimo
decennio. Tecnici di valore ed appassionati del problema, hanno scritto, detto
e purtroppo fatto assai poco, per arrivare ad una soluzione radicale, sicché è
esatto quanto da taluni è stato rilevato che «hanno fatto più male alla
navigazione interna i suoi amici che i suoi nemici».
Il
Regime, impostando il piano autarchico, ha voluto che la questione delle
idrovie venisse studiata e risolta con quella rapidità che caratterizza lo
stile fascista, e un tangibile risultato si è avuto nei primi mesi del corrente
anno, quando su proposta del Ministro dei Lavori Pubblici, Ecc. Gorla, venne
approvato un disegno di legge che reca: «Provvedimenti per la costruzione del
canale navigabile Milano-Cremona Po». Ormai la questione della navigazione
interna non solo è entrata nella coscienza e nel pensiero del popolo italiano,
ma sta arrivando ad una fase esecutiva.
Questo
a un dipresso, era il corso dei nostri pensieri nell’attesa di intervistare il
cav. Cormani. Volevamo conoscere il parere di un competente su quesiti postici
da lettori di «Tecnica Fascista» in rapporto ad articoli sulle idrovie, apparsi
sul nostro periodico, perciò ci siamo rivolti alla cortesia del cav. Cormani,
autentico pioniere della navigazione interna. Mezzo secolo di vita sul Naviglio
è uno stato di servizio non comune; se poi consideriamo l’odierno potenziale
della navigazione su quel canale ed il modestissimo tonnellaggio di cinquant’anni
fa, la figura di questa tempra lombarda di tenace realizzatore si rivela dall’eloquenza
dei fatti.
Il
Cormani ha conservato nei lunghi anni di fatica la parola sobria come la vita
dei barcaioli, la parlata alquanto lenta come il ritmo pacato della navigazione
fluviale. Sotto la fronte pensosa lo sguardo ha conservato, nonostante gli
anni, l’impronta inconfondibile di un’intelligenza volitiva. Semplice ed
affabile ha risposto alle nostre domande con l’occhio un po’ assente come se
seguisse un succedersi di quadri rievocatori.
-
Avete detto di aver iniziato circa mezzo secolo fa la vostra vita sul Naviglio;
volete darci qualche particolare sulla navigazione a quel tempo?
- Figlio e nipote di barcaioli fin da
ragazzo seguivo mio padre e lo zio nei loro viaggi, perciò posso con diretta
conoscenza di causa rispondere alla vostra domanda. Al tempo della mia
adolescenza vi erano sei barche da trenta tonnellate ciascuna che facevano
servizio sul Naviglio trasportando ciottoli per selciato e ciottoli di quarzo
per le ceramiche. Vita dura, vita difficile. Eravamo in pochi a credere alle
possibilità della navigazione interna. Il progresso tecnico nelle ferrovie e
nei trasporti stradali faceva prevedere una lenta, ma sicura agonia del
traffico sul Naviglio. Eppure non potevo adattarmi al pensiero di abbandonare
quella vita faticosa, ma che aveva un suo fascino particolare. Non perchè fossi
un ostinato negatore del progresso, ma perchè dal lato economico ritenevo più
pratico e meno costoso il trasporto per via acquea. Con gli anni e con l’esperienza,
rafforzai la mia convinzione.
Quando il nostro cantilenante andare era
sorpassato dalla velocità dei primi treni elettrici od a vapore, pensavo che il
carbone per alimentare le locomotive era importato dall’estero, e che pure
tributari dello straniero eravamo per il macchinario elettrico, mentre le
nostre povere barche erano costruite in Italia e non richiedevano nè
combustibile nè materiale straniero.
- Siete
dunque stato un precursore dell’autarchia...
- In certo qual modo sì, anzi dirò di più,
ancora giovanetto ideai un vero programma autarchico ed ecco come qualche anno
dopo pervenni a realizzarlo. Nelle mie soste milanesi tra un viaggio e l’altro,
mi permettevo brevi puntate cittadine. Erano gli anni della euforia
industriale. Milano era all’avanguardia e l’incremento dell’industria chiamava
in città migliaia di operai. Conseguentemente l’edilizia assunse un rapido
sviluppo. Tra le materie prime per le costruzioni difettava la sabbia. Si
procedeva allo scavo con mezzi elementari nei dintorni della città. Un badilone
e un graticcio erano gli arnesi di cui disponeva il cavatore quasi sempre
improvvisato. Dotato di un certo spirito d’osservazione rilevai che queste
sporadiche fatiche non davano compenso adeguato. Nei miei frequenti viaggi
avevo notato come le colline moreniche verso l’alto Ticino erano ampi depositi
di sabbia e per associazione di idee ne dedussi la possibilità di trasportare
per via acquea quella sabbia a Milano. Ne accennai a mio padre ed a mio zio, ma
le loro vedute strettamente conservatrici e la paura del rischio, fece loro
ritenere la mia idea azzardata ed arrivarono a dire che avrei mandato in rovina
la nostra modesta impresa. Convinto che la produzione di massa e non quella
relativa poteva soddisfare le esigenze dell’edilizia milanese decisi di
iniziare l’escavazione e il trasporto della sabbia a Milano via Naviglio.
- Questa
vostra idea è stata come l’uovo di Colombo.
- Infatti, fra tutti quelli che avevano
imprese edilizie o che praticavano il piccolo cabottaggio lungo il canale
nessuno aveva pensato a questa semplice, ma importante soluzione di un problema
di grande portata. I fatti mi diedero ragione. Nel 1902 con una sola barca
iniziai il trasporto della sabbia, dopo aver comperato dei terreni adatti allo
scavo. Io stesso provvedevo a far scavare la sabbia, a trasportarla ed a
venderla a Milano. Il successo arrise alla mia impresa fin dai primi anni, ma
vi assicuro che non risparmiavo fatica ed energia. Talvolta ripenso a quei duri
tempi e mi stupisco come abbia potuto resistere per tanti anni ad un lavoro ad
un logorio fisico veramente eccezionali. Mi confortavano tuttavia i primi
successi, più ancora del guadagno realizzato. Infatti nel 1903 la mia «flotta»
contava già quattro barche e 12 dal 1905. Ormai la mia iniziativa era tradotta
in una smagliante realtà. Sorsero poi altre imprese convinte dal mio
esperimento che i trasporti per via d’acqua erano i più pratici ed i più
economici, e qui tengo a far rilevare che l’iniziativa dei trasporti di massa
sul Naviglio è stata mia e dunque permettetemi di attribuirmi il vanto di
essere stato un precorritore dei tempi attuali, nei quali si punta sulla
completa valorizzazione delle vie acquee come importanti fattori economici.
- Come
avete seguito il progresso tecnico in rapporto allo scavo ed alla navigazione?
- Il problema dell’uomo e la macchina mi ha
sempre appassionato. Perciò, ed anche in conseguenza di quel dinamismo pratico
che è un po’ la mia caratteristica personale, ho voluto seguire passo passo il
progresso tecnico. Ho tanto faticato nella mia prima giovinezza, che mi
sembrava un atto di doverosa solidarietà umana sostituire dove era possibile e
nel lavoro rude, pesante, la macchina all’uomo. Infatti nel 1908, pur senza
conoscere il tedesco, mi recai in Germania per l’acquisto di una draga per la
mia cava di Castelletto di Cuggiono. Era la seconda draga in azione in Italia;
lavorava giornalmente 300 metri cubi di materiale. Tale macchina destò stupore
non solo tra i miei cavatori, ma anche fra tecnici e costruttori che convennero
numerosi anche da Milano, per vedere e studiare la draga in funzione. Fu una
iniziativa alquanto ardita, che, tuttavia, non mancò, in breve tempo, di dare
frutti copiosi, cosicché nel 1931 importai dalla Germania una seconda draga.
Per darvi un’altra prova del mio costante interessamento per la
meccanizzazione, vi dirò che nel 1919, costituita un’impresa per grandi lavori
stradali, fui uno dei primi in Italia ad impiegare compressori a nafta. Per
quanto riguarda la navigazione fui sempre all’avanguardia anche in questo
campo. Già nel 1914 avevo sul Lago Maggiore due grosse barche a motore che
trasportavano pietrisco per le strade.
- La
vostra attività non ha dunque conosciuto soste. Ci rallegriamo per le vostre
intelligenti e fortunate iniziative nel campo del progresso tecnico. Ed ora, se
la domanda non è indiscreta, quali sono i vostri progetti attuali?
- Ormai ho una certa età e potrei godermi i
frutti della mia fatica. Ma quel dinamismo che ha contraddistinto la mia vita
operosa, non mi permette lunghe soste. Progetti? Programmi? Vi accennerò
soltanto al fatto che proseguendo nell’opera intrapresa di risanamento
edilizio, non appena la guerra vittoriosa sarà conclusa, riprenderò la
costruzione di altri mille locali creando un altro complesso di fabbricati sul
tipo di quelli da me costruiti al posto delle indecorose casupole di Corso S.
Gottardo. Ma il progetto che mi sta a cuore è un altro. Non è un progetto a
scopo di lucro. Come tutti coloro che debbono la loro fortuna ad una definita
specie di attività, sebbene non più giovane d’anni, ho l’animo ancor giovane
quando si tratta di problemi interessanti il Naviglio e la Darsena milanese. Vi
assicuro che nulla ho tralasciato, ed ancor oggi tento tutte le vie, per
provocare il trasferimento dell’antica Darsena esistente da quasi quattro
secoli in Milano nei pressi di Porta Ticinese. Sono disposto a sostenere altre
spese personali per la soluzione di questo problema di grande interesse per la
nostra città e per la Nazione intera, nei suoi riflessi eminentemente
autarchici. I motivi che persuadono al trasporto si possono così riassumere:
ragioni igienico-sociali e del traffico. Al primo ordine di tali ragioni
appartiene il fatto che le zone della periferia della città, sulle quali si
potrebbero far sorgere le nuove opere, stanno per essere invase dal rapido
avanzare dell’edilizia cittadina, sicché ogni indugio comprometterebbe la
convenienza economica dell’esecuzione delle opere stesse. Le ragioni igienico
sociali sono evidenti di per se stesse, basti citare che il vasto bacino idrico
quasi immoto sottrae una vasta zona urbana (circa 6.000.000 di mq.), ad una
razionale e proficua utilizzazione, che la presenza di tale bacino e degli
inerenti ingombri, sono causa di forte svalutazione degli stabili esistenti e
compromettono il sorgere di moderne costruzioni a carattere non popolare. Le
esigenze del traffico mettono in evidenza che la Darsena è ormai satura in
fatto di movimento di merci per via d’acqua, tanto che non è possibile
aumentare l’attuale traffico aggirantesi sulle 500 mila tonnellate annue.
Inoltre le infelici condizioni del Naviglio
Grande sorto circa otto secoli or sono (1177), le insufficienze della Darsena
che in fatto di estensione liquida (18.000 mq.) e di profondità d’acqua (m.
1,20 se considerata a bacino sgombro dei depositi che il fiume Olona apporta), l’ampiezza
di banchine e di spazi viabili in prossimità, inducono a provvedere
tempestivamente ad una nuova e radicale sistemazione delle vie d’acqua
milanesi. Si potrà così, anche in accordo col noto disegno di legge
ministeriale per il canale navigabile Lago Maggiore-Po, consentire di spingere
il traffico fino a detto lago, anche in rapporto al fatto che la Svizzera è
incline a creare il suo porto meridionale in Locarno. Allora il traffico per
via d’acqua tra Milano e la Confederazione assumerà carattere di notevole
importanza politico-economica. Il traffico per via d’acqua da Milano
supererebbe in breve il milione di tonnellate all’anno. Questo è un problema
che vorrei vedere risolto prima di chiudere la mia vita, questo è il progetto
che mi appassiona ed al quale intendo contribuire perchè venga presto tradotto
in un’opera i cui benefici vantaggi saranno immediati.
- Siamo
lieti di aver contribuito con questa intervista a far conoscere una singolare
figura di pioniere della navigazione interna, ma più ancora di aver accennato
ad una questione che ci sta tanto a cuore e la cui importanza non mancherà di
destare tutto l’interesse che richiede presso le Autorità competenti.
LUIGI LAZZARINI
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IL TRASFERIMENTO DELLA VECCHIA DARSENA
TRASFERIMENTO DELLA DARSENA
DI PORTA TICINESE A MILANO
Dal
2 al 3 ottobre 1939-XVIII si tenne a Ferrara la prima adunata nazionale per la
navigazione nelle acque interne d’Italia. Navigatore e strenuo sostenitore
delle idrovie, ho partecipato all’adunata non solo per conoscere il punto di
vista dei più eminenti tecnici e studiosi del problema generale della
navigazione interna, ma anche per prospettare, per la prima volta come
iniziativa privata, la questione del trasferimento della Darsena milanese.
Nella
relazione che segue, comunicata all’adunata e attentamente seguita dai
partecipanti, basandomi sulla mia esperienza di quasi mezzo secolo di
navigazione sui navigli milanesi, ho prospettato la necessità di un organismo
idrico capace di soddisfare alle impellenti esigenze del traffico milanese per
via d’acqua.
Milano, che sino dalla gloriosa epoca dei
Comuni ebbe fama di centro del lavoro e della finanza, dalla fine del 700 si è
preoccupata di dare largo respiro alla città, imprimendole un notevole moto
ascensionale, capace di apportarvi migliori condizioni di vita, favorendone, in
pari tempo, lo sviluppo igienico-sociale.
Alla sua infelice giacitura, Milano seppe
sopperire con provvedimenti e discipline tali da trasformarsi, in poco volgere
di anni, in un centro non secondo ad altre città italiane ed estere. Gli opimi
prati marcitori man mano furono distanziati; vecchi e popolati quartieri dalle
casupole addossate le une alle altre e che sembravano sopraffarsi per
guadagnare il cielo, vie strette, ineguali e tortuose, angusti cortili, antiche
mura, tutto è quasi scomparso dal nucleo centrale della città. Caserme,
stazioni, stabilimenti, istituti si sono trasferiti e vanno trasferendosi nei
sobborghi.
La nuova Milano - innestatasi sulla Milano
vecchia che aveva assunto aspetto definitivo solo nel periodo napoleonico,
mentre più in là, tra il 1500 e il 1800 si era mantenuta pressoché immutata -
«dove ha ravvistato un ostacolo alla sua espansione lo ha francamente abolito».
Anche nel campo della pubblica igiene,
Milano è assurta a rinomanza di città pienamente confortevole; è del decennio
in cui viviamo il definitivo seppellimento nel buio delle torbide acque
correnti, con la copertura del Tombone di S. Marco e della Fossa interna, per
via Statuto, P. Vittoria, P. Ticinese, sino a raggiungere l’antico ponte all’inizio
del Corso di Porta Genova.
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*
Dopo che il piccone demolitore ha iniziato
la sua opera di rinnovamento, e considerato che non c’è parte della città ove
non pulsi un cantiere di lavori, riteniamo utile prospettare il problema - non
nuovo per i milanesi - del trasferimento della Darsena di P. Ticinese: unico
bacino idrico superstite in Milano, che occorre spostare in sede più adatta nei
riflessi delle funzioni che esso riveste, e avuto riguardo alle esigenze dell’igiene
e del pubblico decoro.
Da tale spostamento avvantaggerebbero
immediatamente importanti quartieri a meridione della città, assurti a migliori
condizioni ambientali dopo che le vecchie strutture, soverchiate e disfatte,
van cedendo al pulsante dinamismo del clima mussoliniano.
UN PO’ DI STORIA
Scrive il Codara. che la Darsena di P.
Ticinese, costruita nel 1603 per ordine del Governatore spagnolo Conte Fluentes,
(sic) nel 1917 costituiva un bacino
lungo m. 400, largo da 30 a 60 metri, con una superficie liquida di mq. 15.220.
Attualmente, in dipendenza del progetto esecutivo dell’ottobre 1917 e
successive modifiche, lo specchio liquido si aggira sui 18.000 metri quadrati,
con una larghezza massima di m. 54.
La Darsena è sorta alcuni secoli dopo i
Navigli Grande e della Martesana, con funzione di bacino-nodo dell’allora
povera navigazione milanese. In essa confluivano le acque del Naviglio Grande,
quelle della Fossa interna per la conca di via Arena, e ancora, le acque del
fiume Olona. Dalla Darsena stessa si diparte il Naviglio Pavese, che
effettivamente costituisce «quella via d’acqua che oggi unisce i canali
milanesi alla grande arteria del Po».
Il Naviglio Grande fu derivato, ad
iniziativa di privati, dal fiume Ticino presso Tornavento - tra il 1177 e il
1179 - a scopo di irrigare le terre e con denominazione di «Tisinello»,
limitatamente al tratto sino ad Abbiategrasso, ove si stacca il Naviglio di
Bereguardo.
Il nome di Naviglio, con evidente
significato di navigabilità, appare più tardi, quando il «Tisinello» fu
prolungato sino a Gaggiano - nel 1356-57 - e non più a sola iniziativa di
privati, ma con l’intervento di Martino della Torre, Podestà di Milano.
Pare che il promotore e progettista del
Naviglio Grande - Beno dei Gozzadini - dalla ingratitudine della folla, a
motivo dell’elevato costo dell’opera, abbia subito miseranda fine, affogato in
quelle stesse acque che egli con tanta previdenza aveva saputo convogliare a
beneficio dell’agro lombardo.
Il cavo «Tisinello», con l’aggiunta del
Naviglio di «Gazano o Gaggiano», solamente verso la seconda metà del 300 fu
spinto nelle vicinanze della città, mentre la sua definitiva entrata in Milano
(dopo un percorso di circa 50 chilometri e una portata all’origine di mc. 65,
ridotti a 12 all’arrivo in Darsena al ponte dello Scudellino), fu dovuta all’inizio
della costruzione della Cattedrale (1386), dopo che Gian Galeazzo Visconti ebbe
assegnato alla fabbrica del Duomo le cave di marmo di Candoglia, frazione del
comune di Mergozzo in val di Ossola.
Il Naviglio Grande fece dapprima capo alla
Darsena di S. Eustorgio (nel 1603 sistemata a darsena di P. Ticinese), che per
l’inoltro delle barche cariche di marmi del Duomo fu successivamente collegata
per Via Arena alla Fossa interna, sino a raggiungere un bacino o laghetto,
esistente nei pressi del non allora ancor sorto Ospedale Maggiore, dovuto al
dilagare delle acque della stessa Fossa interna, confuse con quelle del fiume
Seveso. Detto laghetto fu interrato nel 1857.
Il Naviglio di Pavia ha origine alla
Darsena di P. Ticinese, con una portata all’uscita di mc. 11,50 e con scarico
in Ticino poco a valle di Pavia, dopo un percorso di circa 33 chilometri. Un
naviglio di Pavia, che non corrisponde esattamente all’attuale, tra il 1359 e
il 1365, fu ricavato seguendo l’andamento di un antico «Navigliaccio» sino a Pavia, e pare per esclusivo screzio
del grande parco annesso a quel castello visconteo. In origine, il canale non
era navigabile, almeno nel suo tratto fino a Binasco, tanto che Galeazzo Maria
Visconti il 1 giugno 1473 avvertiva il capitano sopraintendente del parco, di
provvedere «che se facia un Naviglio da
Binasco ad quella nostra città da Pauia». L’incarico fu affidato al Bertola
da Novate, e il canale appare compiuto sul finire del 1475 per quanto non in
soddisfacenti condizioni di navigabilità. Durante il dominio spagnolo, le cose
peggiorarono; solo verso la fine del 1500, si provvide a radicali sistemazioni
su progetti del Meda, cui fecero seguito ulteriori modifiche, riprese e
sospensioni dei lavori. L’intraprendente governatore, Pietro de Acevedo Conte
de Fluentes, precorrendo i tempi, tentò di magnificare l’opera sua, facendo
collocare sul ponte d’uscita delle acque della Darsena (poi detto Ponte del
Trofeo), un pomposo monumento la cui lapide ricordava l’apertura del Naviglio
di Pavia come fatto compiuto. Il monumento fu demolito nel 1865: lapide, trofei
e stemmi si conservano nel cortile della Rocchetta al Castello.
In effetti alla realizzazione del Naviglio
di Pavia ha provveduto l’astro napoleonico, che nel giugno 1805 decretava la
costruzione del Naviglio da Milano a Pavia quale oggi ci appare. Le feste
inaugurali si svolsero il 16 agosto 1819.
E per ultimo ricordiamo il Naviglio della
Martesana, derivato in sponda destra del fiume Adda al Castello di Trezzo, con
una portata di mc. 34, e che dopo un percorso di circa chilometri 39, sfociava
nel Tombone di S. Marco, dal quale aveva origine la Fossa interna. La
costruzione fu decretata dal Duca Francesco Sforza il 1 luglio 1457; nel 1465
il canale figurava ultimato e si prescrivevano le modalità per la distribuzione
delle acque di irrigazione. In un primo tempo la Martesana non scaricava nella
Fossa interna, ma in vicinanza della città; fu Ludovico il Moro che nel 1496
ordinò il congiungimento di essa con la Fossa interna.
Oggi la Darsena e i navigli fanno parte del
Demanio dello Stato e vi sopraintende l’Ufficio del Genio Civile di Milano.
MOTIVI GIUSTIFICANTI IL SOLLECITO
Veniamo ora alle ragioni che persuadono
allo spostamento in località più adatta della vecchia Darsena la quale, giova
ripetere, è il solo bacino idrico ancora scoperto in aderenza alla seppellita
cerchia dei navigli.
Tali ragioni rafforzano il presupposto che,
sulla Darsena stessa pende in via assoluta la «spada di Damocle», tanto che non
pare possibile come abbia potuto resistere al soffio della modernità. Non può
sfuggire nemmeno al superficiale osservatore come, o presto o tardi, si imporrà
il trasferimento di così vasto bacino d’acqua a lento deflusso, soggetto a
periodici spurghi, durante i quali esalano miasmi e malodori.
Un complesso di circostanze reclama tale
spostamento in osservanza delle moderne esigenze della vita civile, onde
eliminare quelle condizioni di fatto che della zona a sud della città fanno la
parte meno preferita di Milano.
1
) Ragioni contingenziali:
Le nuove costruzioni edili che sorgono
sulla base del piano regolatore di massima (il quale non contempla lo
spostamento della Darsena) anche nella vastissima zona limitata dal Naviglio
Grande e da quello di Pavia, hanno raggiunto un’estensione tale da far ritenere
imminente l’invasione anche di località adatte per una razionale ubicazione di
una nuova Darsena e conseguente deviazione del Naviglio Grande.
Alla Barena, non lungi dal capo linea del
tram 12, nuovi vasti caseggiati quasi tendono la mano alla vicina cascina Boffalora,
e non tarderanno a formare un effettivo sbarramento al sorgere di impianti del
genere di quelli che lo spostamento della Darsena importerebbe. Fra uno
stabilimento in costruzione (punto C della cartina) sulla via Barona, e un
vecchio fabbricato esistente (osteria), in angolo con la via Boffalora, per
soli metri 160 circa, il terreno è ancora
libero per modo da potervi ubicare le nuove opere, secondo un breve
percorso. Nelle odierne condizioni di fatto, e considerato che anche le zone al
Ronchetto e alla Chiesa Rossa (punti D-A), rispettivamente luogo d’origine dell’eventuale
nuovo tratto del Naviglio Grande e luogo di sede della nuova Darsena, non sono
ancora invase da costruzioni, i nuovi impianti sarebbero giustificati anche
sotto l’aspetto di un giusto momento economico. Inoltre il vasto piano di
campagna a occidente della Chiesa Rossa è di oltre quattro metri più basso del
pelo d’acqua del Naviglio di Pavia, di modo che l’invaso per la nuova Darsena
si presenta già predisposto.
Tra uno o due anni a condizioni cambiate,
ovvero peggiorate sotto l’aspetto del costo dell’opera, la convenienza
economica sarebbe talmente compromessa da costituire serio imbarazzo, con
giustificato appunto alla generazione attuale di mancata previdenza nei
riguardi d’un problema di così vitale importanza.
2)
Ragioni igienico-sociali:
Chi arriva a Porta Genova o a Porta
Ticinese, alla vista di sì vasto bacino d’acqua, quasi immoto, stendentesi dall’uno
all’altro settore cittadino, non può a meno di riportare l’impressione di
trovarsi, non a due passi dal Duomo, sibbene, in un sobborgo, battuto da
pesanti automezzi, da carri e da marnoni,
ingombro di enormi cumuli di materiali terrosi con l’orizzonte impedito da
mastodontici alti cassoni di legno facilitanti lo scarico e carico di tanta
materia povera (ciottoli, ghiaia, graniglia, sabbia, laterizi, pietre, ecc.
ecc.) destinata all’edilizia cittadina.
Se la seppellita Fossa interna con i suoi
suggestivi specchi d’acqua, con i cantucci pittorici che potevano anche
ricordare ...Venezia, ha dovuto cedere all’avanzante modernità ed alle esigenze
di una Milano che è in continuo fervore di rinnovamento, si può a ragione
domandarsi: e perchè non scompare anche la vecchia Darsena dalle torbide acque
e dalle ingombranti banchine?
Sono migliaia di metri quadrati di area
fabbricabile che da uno stato di cose... tollerato vengono sottratti ad una più
razionale e proficua utilizzazione, mentre nel cuore di vasti, industri e
popolati quartieri permangono condizioni di fatto anti-sociali ed
anti-igieniche. Svalutazione degli stabili prospicienti il bacino, zanzare d’estate
e maggiori nebbie d’inverno, miasmi esalanti nell’epoca delle asciutte (due
volte l’anno: in primavera e autunno), frastuono di pesanti veicoli, difficoltà
di comunicazioni, un caotico agglomeramento di materiali diversi: tutto un
coro, insomma, non inneggiante alla conservazione della Darsena. Da considerare
che ivi sorge un vasto gruppo di scuole pubbliche, una clinica medica di antica
rinomanza, una bella e recente costruzione che il Fascismo ha fatto sorgere a
luogo di raccolta della gioventù milanese nel nome eroico di «Antonio Cantore».
A P. Ticinese, poi, una nuova sistemazione
stradale eliminerebbe le «montagne russe» dovute ai due ponti sui navigli.
Non trascurabile il fatto, che la malaria
non è forse definitivamente cancellata dalle tabelle nosologiche della
Provincia e della città di Milano.
È noto come le acque stagnanti siano
condizione sine qua non per l’esistenza
della zanzara malarigena (anofele) che per la nostra Provincia appartiene
esclusivamente all’«anophelis maculipennis». Onde chi può garantire che, sia
pure in minima parte, la vecchia Darsena, con le sue torbide acque e la sua
fanghiglia, e i navigli con le loro infiltrazioni d’acqua stagnante alle
sponde, non concorrano alla permanenza del morbo anche limitatamente alla forma
leggera di terzana?
Tutto insomma converge contro la
conservazione di tale non edificante stato di cose: la bonifica agli effetti
dell’edilizia urbana, la convenienza di ricavare nuove vie di comunicazione, l’opportunità
di eliminare quanto ostacola il traffico fra i due navigli (soprapassaggi), la
necessità di allontanare una rete di canali e di canaletti, che sono fonte di
umidità tale da sconsigliare chi intendesse elevare costruzioni. Elementi
questi e circostanze di fatto, che debbono influire sulla sollecita attuazione
dell’importante problema di sistemazione cittadina, anche per il miglior decoro
estetico di Milano: decoro al quale non può essere estranea la città che ospitò
Leonardo precursore anche nel campo della razionale edilizia cittadina.
3)
Ragioni tecniche e del traffico:
La costruzione di una nuova Darsena ancora
a sud della città potrebbe anche costituire l’inizio, il punto di partenza
della futura grande navigazione interna, da tanti anni auspicata per la più
grande Milano, e quale trasporto autarchico per eccellenza. Il traffico che fa
capo all’attuale Darsena è stato sempre contenuto entro limiti ristretti in
quanto non si è mai potuto raccogliere anche il traffico di provenienza dal
Lago Maggiore. La regolazione delle acque del lago, che è in via di attuazione
(sono iniziati i lavori dello sbarramento di regolazione alla rapida Miorina,
poco a valle di Sesto Calende, e il nuovo organismo funzionerà entro il 1941),
ed i progettati allacciamenti delle nuove arterie d’acqua con il canale
industriale, anche per una maggiore utilizzazione delle acque del Ticino,
promuoveranno, indubbiamente, un notevole incremento del traffico scendente
anche dal bacino del Verbano, (legna, calce, graniti, ecc.) e perchè no?, anche
dalla vicina Svizzera, dato che nessun mezzo di trasporto può gareggiare in
fatto di costi con quello per via d’acqua ([1]).
E nei riguardi della Svizzera (che oggi per
le esigenze imposte dal conflitto anglo-franco-tedesco va subendo gravi danni
nel suo commercio, soprattutto per la sospensione della navigazione renana),
dando uno sguardo alla carta d’Europa emerge subito che la via più breve, e
quindi meno dispendiosa per i rifornimenti svizzeri, dall’oriente, passa per
l’Adriatico, la valle Padana e il Lago Maggiore, per far capo alle ferrovie
federali a Locarno o a Bellinzona ([2]).
Prendendo come punto di passaggio il canale
di Suez, da Porto Said a Venezia risultano miglia 1305, e per Marsiglia miglia
1515. Via Gibilterra, da Porto Said per Amburgo, Brema, Amsterdam, Rotterdam e
Anversa le distanze variano tra 3300 e 3600 miglia.
Da queste eloquenti cifre si deduce che la
Svizzera dovrebbe trovare evidente convenienza a crearsi uno sbocco al mare,
via Milano-Venezia, quale itinerario immediato e di maggior profitto.
Per il Naviglio Grande e per quello di
Pavia converge in Darsena un traffico di oltre 450.000 tonnellate l’anno, pari
ad una flottiglia natante di circa 5500 barconi, di materiali vari destinati
all’edilizia cittadina, mentre vi affluisce anche notevole traffico spicciolo
da Abbiategrasso a Milano e località intermedie.
Da notare che il traffico della modesta
Darsena di Porta Ticinese, pur in presenza di un organismo ormai troppo vecchio
ed inadeguato ai crescenti bisogni, secondo una statistica del 1936 è stato di
tonnellate 401.980, contro tonnellate 346.000 del porto di Bari, tonnellate
333.000 di Messina, 123.000 di Brindisi e 110.000 di Siracusa.
Il porto di Ancona, in quell’anno, ha
superato di poco il traffico del bacino idrico milanese, con un movimento
complessivo di tonnellate 441.000.
Lo sviluppo utilizzabile delle attuali
banchine è di circa m. 500, con una superficie libera per le manovre di scarico
e carico, soste e depositi, di mq. 13.000, che le esigenze del traffico
denunziano come insufficienti, tenuto presente che larghi cumuli di materie
terrose, vasti spiazzi occupati dai così detti silos o cassoni contenitori, il continuo andirivieni di veicoli di
ogni specie, richiedono vaste banchine, perchè il normale traffico, quello di
punta nei momenti di massima richiesta di materiali, e quello che in avvenire
certamente si verificherà, possano svolgersi con il dovuto ritmo. Anche lo
specchio d’acque della Darsena non risponde alle attuali, e meno ancora alle
future esigenze della numerosa flottiglia di barche e barconi. I grossi natanti
delle dimensioni di ml. 40 x 6 (compreso il timone) e della portata massima di
circa 1000 q.li, quando alla fine della giornata vi convergono in buon numero
per le occorrenti manovre, a stento possono muoversi nel ristretto specchio
d’acqua che in effetti misura una larghezza massima di ml. 54, poco più della
lunghezza di un barcone.
La profondità d’acqua della Darsena di
circa m. 1,20, non sempre tale a causa dei depositi che facilmente vi si
formano, è insufficientissima ai fini di una normale, sollecita navigazione, e
peggio quando si faccia caso al fatto che il fiume Olona altera frequentemente
le quote di fondo; con le sue piene trascina con irruenza detriti di ogni
sorta, tanto da riempire talvolta la Darsena in brevissimo tempo creando seri
imbarazzi alla navigazione.
Tutto considerato, anche sotto l’aspetto
pratico delle impellenti necessità del traffico, evidenti circostanze di fatto
obbligano a provvedere tempestivamente ad una nuova sistemazione delle vie
d’acqua verso P. Ticinese. Tale problema porterebbe implicitamente anche alla
sistemazione, con moderni ed adeguati criteri tecnici, dell’intera asta idrica
che per mezzo del vecchio Naviglio, risalendo verso nord, dovrebbe raccogliere
gran parte del traffico che si svolge fra Milano e le sponde del Verbano, del
lago di Mergozzo e della vicina Svizzera.
OPERE NUOVE
Le considerazioni svolte nei riguardi
dell’attuale e del futuro traffico per via d’acqua, suggeriscono larga
previsione nei riflessi del movimento avvenire della navigazione milanese. Il
traffico potrà superare le 800.000 tonnellate all’anno di soli materiali per
l’edilizia, mentre va tenuto nel debito conto l’eventualità di un futuro
maggior incremento degli scambi in genere, da superare, un giorno, il milione
di tonnellate annue.
Occorre quindi almeno triplicare l’ampiezza
dello specchio d’acqua in Darsena, e ciò per il libero muoversi dei natanti in
arrivo, in partenza ed in sosta. Tale previdenza importerebbe, implicitamente,
un notevole aumento anche delle relative banchine delle quali, ripetiamo, oggi
tanto si lamenta la palese insufficienza.
Deciso il sorgere di una nuova Darsena,
questa non potrebbe essere ubicata che sulla direttrice del traffico verso
Pavia, nel vasto piano di campagna - ancora sgombro di impedimenti - situato in
località «Chiesa Rossa» a circa 2500 metri da Porta Ticinese sulla destra del
Naviglio di Pavia (punto A. della qui annessa planimetria), poco oltre la
svolta del tram 3 per via De Sanctis.
Ivi la Darsena, convenientemente disposta,
potrebbe assumere una superficie liquida di oltre 50 mila mq. in confronto dei
18.000 attuali, uno sviluppo di quasi due chilometri di banchine in luogo dei
500 metri oggi disponibili, ed una superficie utile per le manovre di scarico e
carico, di oltre 35.000 mq. rispetto ai 13.000 attuali. La profondità del
bacino verrebbe portata a ml. 4 stante che l’invaso è già pronto, mentre oggi,
come già detto, l’altezza è di m. 1,20, se considerata a bacino sgombro di quei
depositi di fondo che con tanta frequenza si formano ai danni della
navigazione. Nella nuova Darsena (proposta N. 1) sfocierebbe ancora il Naviglio
Grande deviato secondo il percorso H-D-C-B, per scaricare nel Naviglio di Pavia
al punto G a circa ml. 300 dopo il dazio cittadino, e un percorso di ml. 4050
prima della nuova Darsena alla Chiesa Rossa, ml. 2400 dopo la Darsena stessa, e
una distanza di metri 4900 da Porta Ticinese.
Tale deviazione avrebbe inizio a sud della
cascina «Chiesola» (punto H) in quel di Robarello di sopra, a poco più di
cinque chilometri dalla vecchia Darsena, per modo di sottopassare la strada
provinciale per Abbiategrasso, opportunamente rialzata, nel tratto fra la detta
Cascina Chiesola e il dazio di Milano, al Ronchetto, (punto D).
Prima di sottopassare la strada
provinciale, converrebbe creare una non vasta Darsena sussidiaria,
indispensabile, data la convenienza di ivi scaricare i materiali destinati ai
quartieri situati oltre P. Magenta e S. Siro, i quali richiederanno sempre più
forti forniture. Gli accessi alla Darsena sussidiaria, anche da S. Siro,
potrebbero avvenire per l’esistente passaggio a livello sulla ferrovia
Milano-Mortara in stazione di S. Cristoforo.
Il Naviglio Grande, deviato secondo
H-D-C-B-G, assumerebbe un percorso complessivo di circa m. 6450, quasi tutto in
aperta campagna, sopra il quale agevolmente si potrebbero creare convenienti
punti di passaggio fra l’una e l’altra sponda, in armonia con le esigenze della
viabilità e col piano regolatore di massima che, al caso, potrebbe subire
opportune rettifiche.
Dal trasloco della Darsena deriverebbe la
disponibilità dei tratti D-E ed E-A-G degli attuali navigli, che all’evenienza
assumerebbero funzione di ampi ed invitanti viali per una lunghezza di circa
km. 10, onde portare in quei popolosi quartieri fervore di vita nuova, maggior
decoro cittadino, sicura convenienza anche in fatto di edilizia non solamente a
tipo popolare.
Dopo la trasformazione del tratto del
Naviglio di Pavia in un largo viale e la scomparsa del vasto, inadeguato bacino
d’acqua di P. Ticinese, a mezzodì della città si presenterebbe un accesso
decoroso e degno di rilievo per chi dalla moderna arteria stradale dei «Giovi»
(che è la via di maggior traffico tra Genova e Milano), entrasse in città dalla
monumentale porta disegnata dal Cagnola ed eretta a ricordo dei fasti di
Marengo.
Bonifica cittadina, quindi, che solamente
il Fascismo, già esperto propulsore delle opere più ardite di elevazione della
vita sociale, potrebbe attuare con prontezza e giusta sapienza, tenuto anche
conto che il problema di sistemazione delle vie d’acqua nel milanese entra nel
quadro informativo di quell’autarchia nazionale che è alla base della moderna
economia corporativa.
Con la proposta N. 2 si tenderebbe ad
allontanare ancor più l’organismo della navigazione milanese dai margini
dell’abitato cittadino, sospingendolo il più possibile verso gli estremi limiti
meridionali del piano regolatore di massima. Con tale soluzione, secondo la
linea D-M-N-G, si eviterebbe la stretta in C, collocando altresì entro la nuova
linea dei navigli tutto quanto va assumendo sviluppo d’opera a sud della Barona
e nei pressi delle Cascine Molini, Boffalora, Fontecchio, Caimera ed altre.
Inoltre l’andamento planimetrico del nuovo canale anche nel tratto D-M-N
risulterebbe quasi rettilineo, mentre agevolmente si potrebbe arrivare dalla
Via Pavese alla nuova Darsena (N. 2) mediante un largo viale disposto a guisa
di piazzale per il breve tratto B-A, antistante alla Chiesa Rossa.
CONSIDERAZIONI GENERALI E CONCLUSIVE
La realizzazione del problema, qui
prospettato nelle sue linee di grande massima, richiederebbe quindi pronta
azione, considerato che ogni indugio cagionerebbe un maggior onere e forse
anche il profilarsi di circostanze avverse alla esecuzione delle opere.
Per le utenze si osserva, che le
irrigazioni delle terre, dopo l’estendersi dell’edilizia cittadina, hanno
perduto la loro ragione di essere; se mai ai pochi bisogni del genere si
provvederebbe lasciando defluire la poca acqua occorrente, ancora nel vecchio
alveo del Naviglio Grande, oppure con derivazioni dal tratto del nuovo canale
compreso fra il Ronchetto e la nuova Darsena alla Chiesa Rossa.
La vecchia Conca Fallata verrebbe ripetuta
con moderne modalità costruttive sul tratto B-G di nuovo canale, ridando
l’attuale produzione di energia all’industria che già ne fruisce, mentre le
condizioni altimetriche del terreno obbligherebbero forse alla formazione di
altra conca superiormente alla nuova Darsena, e il cui salto offrirebbe a sua
volta altra energia a proficua disposizione degli utenti.
Da tale nuovo sistema idrico le provenienze
da Pavia si avvantaggerebbero in fatto di percorso contro corrente, con minore
spesa di tempo e di denaro.
È noto come Pavia segua con appassionato
fervore l’andamento della sua navigazione (nella città ticinese esiste un
nucleo fondamentale di opere portuali), e un maggior potenziamento sarà
realizzabile con la elettrificazione delle conche sui navigli, con un miglior
attrezzamento del porto fluviale, e con l’adozione di uno speciale tipo di
rimorchiatore di convogli, rispondente alle condizioni di fatto ed alla
convenienza di usare, per l’azionamento, gas di produzione nazionale.
Gli attuali mezzi meccanici, riducendo
notevolmente le distanze ed i tempi, consentono di effettuare gli occorrenti
trasporti con lieve maggiorazione di costi, senza incidere in modo
pregiudizievole sui preventivi di spesa. E in fatto di trasporti torna
opportuno ricordare che tardando il provvedimento del trasloco della vecchia
Darsena, le nuove costruzioni, che rapidamente vanno sorgendo ovunque,
obbligherebbero ad uno spostamento delle correnti di traffico, per via d’acqua,
a troppa distanza dalla città, con maggior aggravio per i trasporti dal bacino
di smistamento delle merci al centro cittadino e alle zone periferiche.
La capienza delle nuove darsene (principale
e sussidiaria) consentirebbe un maggior traffico di materiali anche di lontana
provenienza lungo il Naviglio Grande, permettendo alle competenti autorità di
negare concessioni per cave di ghiaia e di sabbia, che con troppa frequenza e
con poco rispetto alle esigenze e al decoro di una grande città, si aprono ai
margini dell’abitato.
A questo riguardo - com’è naturale - il
competente Ufficio d’igiene non dovrebbe - evidentemente - vedere di buon
occhio il moltiplicarsi di tanti insalubri focolai attorno alla metropoli
lombarda, nè a sopprimerli è valso l’addossare ai cavatori forti somme a titolo
di deposito per l’eventuale ripristino delle zone scavate. Solamente la
sistemazione del Naviglio Grande e il trasloco, con relativo ingrandimento
della Darsena, metterebbero gli assuntori di cave nelle condizioni di doversi
procurare altrove, lontano dalla città, lungo le sponde del capace corso
d’acqua, le zone atte a fornire la ghiaia e le sabbie di cui Milano ha sempre
grande bisogno in dipendenza dell’incessante effondersi della sua edilizia
utilitaria.
Altre circostanze militano a favore del
trasferimento della vecchia darsena. Ben 10 soprapassaggi, tra pedonali,
carrabili e ferroviari, scavalcano il Naviglio di Pavia dal suo inizio al Ponte
del Trofeo a quello dell’Annona in prossimità del dazio sulla via della Chiesa
Rossa. Altri undici manufatti scavalcano il Naviglio Grande nel tratto da
Robarello al suo sfociare nella Darsena di P. Ticinese, di cui uno in ferro, a
saliscendi, per il transito di carri ferroviari, sormontato da passaggio
pedonale.
La Stazione di S. Cristoforo è tagliata
fuori per tutto quanto riguarda il grande triangolo racchiuso dai due navigli.
Il traffico si svolge parallelamente alle sponde del canale, i vari
soprapassaggi, ubicati a notevole distanza gli uni dagli altri, obbligano a
lunghi percorsi, intralciano e pregiudicano il movimento, disturbano e
danneggiano perennemente quelle località che hanno pure diritto ad un
miglioramento delle condizioni di vita sociale anche in relazione con le
progredite esigenze delle industrie e dei commerci che, in effetti, sono i
gangli vitali della Nazione.
Il trasloco della vecchia Darsena tende a
sgombrare ogni impedimento alla libera espansione della città su terreno
asciutto e salubre. È dalle stazioni del dazio cittadino che, con la viabilità
pubblica, il traffico aumenta rapidamente il suo indice del progresso
industriale e commerciale. Oggi, a partire dalla linea daziaria, anche i
veicoli tendono a frequentare le strade alzaie, in quanto le arterie principali
non rispondono più alle imperiose esigenze dell’aumentato traffico ai bordi
della grande città.
Ma v’ha di più: su quelle arterie, tra non
molto, dovrà trovar posto anche il tram cittadino, onde raggiungere le estreme
propaggini rappresentate dalle stazioni daziali costituenti i punti di
passaggio fra la campagna e la città. Le proposte innovazioni, conseguenti allo
spostamento della Darsena di P. Ticinese, importerebbero, ripetiamo, anche la
formazione dei già accennati viali di accesso alla città dalle vie di
Abbiategrasso e di Pavia, consentendo così di collocarvi il tram cittadino
anche a doppia binario senza intralciare il traffico che certamente andrà
assumendo un imponente crescendo ([3]).
I canottieri di Milano, ora non bene
sistemati lungo le sponde del Naviglio Grande, da un moderno stato di cose
risentirebbero notevole vantaggio. Verso la località della Barona potrebbero
svolgere con larghe vedute un ampio piano di adatti luoghi di svago, servito da
ampi viali, offrendo in tal modo alla città - anche nella sua parte meridionale
- invitanti e comodi ritrovi per gli esercizi del nuoto e del remo. Dalla
vendita delle attuali aree a loro disposizione troverebbero compenso per le
maggiori spese occorrenti per il trasloco in località più adatta degli impianti
sociali.
Per le acque del fiume Olona, va ricordato
che esse sono destinate a scaricare nel Lambro meridionale, non appena il
comune di Milano avrà provveduto anche alla loro sistemazione; cesserà così la
necessità di mantenere la vecchia Darsena come punto di sfocio e di transito
delle acque dell’Olona.
Va poi messa in giusta luce la circostanza che
la vasta zona del bacino idrico esistente fra P. Genova e P. Ticinese (oltre
20.000 mq.), riveste carattere di area fabbricabile nel senso estimativo della
parola. Situata a poca distanza dal centro di Milano, il suo valore di comune
commercio non può essere che assai elevato. Tale fatto va messo in raffronto
con quello riflettente i valori delle aree su cui dovrebbero sorgere le nuove
opere, dal Ronchetto alla Chiesa Rossa, che rivestono valori di scambio
limitati (qualche lira al mq.), e quindi trascurabili se raffrontati con
l’elevato valore della zona fra P. Genova e P. Ticinese.
Si consideri poi il fatto che la superficie
del vasto triangolo D-E-A valutabile, grosso
modo, sui sei milioni di mq., dall’allontanamento dalla Darsena e dei
navigli, risentirebbe indiscutibile vantaggio sotto l’aspetto di un
avvaloramento intrinseco del terreno e delle sovrastanti realità stabili.
Vantaggio che se valutabile a poca cosa nei riflessi delle singole proprietà o
particelle mappali, riferito, invece, al grande, vasto insieme, riuscirebbe di
inestimabile tornaconto economico per la privata proprietà immobiliare, e, di
riflesso, per la collettività.
Gli eventi metereologici dello scorso
settembre offrono motivo per osservare come il Naviglio Grande sia ormai un vecchio
organismo la cui origine, come si è già veduto, risale a oltre sette secoli. Il
suo alveo, specie nel tratto Abbiategrasso-Milano, è sottopassato da cunicoli e
tomboni che non si trovano più in condizioni statiche soddisfacenti. Durante la
non eccezionale alluvione del 13 settembre 1939, poco lungi dall’abitato di
Corsico, per il dissolversi di uno di quei tomboni, il ragguardevole volume
d’acqua del Naviglio si è in buona parte incanalato nella frattura originata
dal crollo di quel manufatto, e, dilagando con notevole irruenza verso il lato
destro del canale, ha asportato un breve tratto della strada provinciale e del
tram (il transito è stato interrotto per alcuni giorni), allagando, inoltre, la
campagna. La navigazione si è completamente arrestata con forte disappunto di
quanti si avvalgono di quella importante via d’acqua.
E sia in vista dello stato di deperimento
del Naviglio, sia del non agevole transito entro gli abitati di Corsico,
Trezzano e Gaggiano a causa dei ponti ivi esistenti, sia del pericolo che il
Naviglio rappresenta per gli automezzi lungo la strada provinciale, sia,
infine, della insufficienza del piano viabile, specie nelle ore di punta del
traffico, è stata ventilata l’idea di una soluzione radicale nei riguardi del
Naviglio stesso.
In previsione del forte sviluppo del
traffico su strada e per via d’acqua, ed allo scopo di liberare fiorenti paesi
dalla indesiderabile presenza del Naviglio, si
ravviserebbe la opportunità di spostare il canale, nel tratto fra Albairate e
Milano, tutto a monte della ferrovia per Mortara, raccordandolo con ampia
curva all’attuale sua sede verso la tomba Negri, situata a oltre 3 chilometri
dal punto in cui il Naviglio piega verso Milano, all’altezza di Castelletto. Al
fondo del nuovo canale si dovrebbe assegnare una quota tale da consentire di
sottopassare la ferrovia, prima, e la strada provinciale, poi, in prossimità
del Ronchetto (Punto D), senza bisogno di sopraelevare il piano del ferro a
quello viabile ([4]).
Il Regime, che da più di un decennio ha
intuito lo sviluppo della navigazione idrica, data la importanza non soltanto
economica, ma tipicamente autarchica del problema, non mancherà di accordare il
suo consenso alle invocate opere, avuto riguardo anche al fatto che il problema
stesso tende a migliorare le condizioni ambientali di tanta parte di Milano; di
quella Milano che è sempre all’avanguardia quando si tratta del potenziamento
autarchico della Nazione, e che spingendo il tumultuoso fervore delle sue
industrie «innalza l’orgoglio monumentale della sua opulenza, là dove 50 anni
addietro si potevano cercare soltanto ombrose solitudini e rustiche osterie».
E se anche il problema fosse di interesse
locale (nel caso occorre tener peraltro presente che il fatto locale è
strettamente legato ai destini di una grande città e della regione più
industriale e commerciale d’Italia), non è poi detto che dovrebbe essere
subordinato al sorgere di un grande canale fra Milano e il mare, capace di
natanti di notevole portata.
In tale evenienza, la rete idrica milanese
potrebbe essere - a suo tempo - convenientemente collegata con tale futura
grande opera, che ha però per presupposto una costante, possibile,
esperimentata, navigazione sul Po, o, in difetto, la formazione di adatti
canali paralleli al suo corso ([5]).
Per ora (anzi entro il 1941, epoca in cui
la regolazione delle acque del Lago Maggiore sarà un fatto compiuto), si
potrebbe convenientemente, e in tempo utile, provvedere alla navigazione fra
Milano ed il Lago Maggiore mediante la sistemazione dell’esistente Naviglio
Grande, che da sette secoli giace immutato! Ciò - evidentemente - costituirebbe
fatto di vera e pronta autarchia, ai fini di concorrere ad assicurare alla
Patria, anche in questo campo, l’indipendenza economica, senza la quale non può
esservi indipendenza politica.
[1] La Diga della «Miorina» in effetti, doveva
essere ultimata entro il 1941. Le attuali contingenze belliche hanno
determinato un rallentamento nell’esecuzione dei lavori. Si prevede che la
ultimazione dell’importante opera possa avvenire entro il 1942. II grande
sbarramento di regolazione del Verbano entrerà allora in funzione, apportando
tutti quei benefici che da un maggior invaso di 315 milioni di mc. d’acqua nel
Lago Maggiore, ne deriveranno.
[2] Del vivo interessamento della Svizzera per
il suo collegamento col mare, ne fa fede una recente comunicazione (Gazzetta
del Verbano del 20-9-41), relativa ad un progetto di massima sul «Come sarà il
Porto di Locarno», dovuta all’ing. Emilio Forni, Consigliere di Stato e Capo
delle Costruzioni del Dipartimento Cantonale del Ticino.
Recentemente si è costituito un «Comitato
Locarno - Venezia», allo scopo di studiare il problema relativo al sollecito
inizio della preconizzata linea navigabile fra la Svizzera e l’Adriatico.
[3] Il vecchio alveo del Naviglio, secondo il
pensiero del comm. Acquati, già Presidente dell’Azienda Tranviaria Municipale,
verrebbe adibito a percorso in trincea del tram cittadino, liberando la via
pubblica, la quale, attualmente, non risponde alle esigenze di una grande
arteria. (Tecnica Fascista del 10-8-41).
[4] Chi scrive ha fatto recentemente compilare
un progetto di grande massima per l’impianto di una Darsena sussidiaria in
località «Robarello» e di una Darsena principale alla «Chiesa Rossa», sulla via
pavese. La Darsena sussidiaria verrebbe ubicata a monte della ferrovia
Milano-Vigevano, col presupposto di trasferire oltre la ferrovia stessa, il
tratto del vecchio Naviglio compreso fra Robarello e Castelletto di Albairate
(Km. 20). Questo, non solo per liberare centri abitati dalla presenza del vecchio
corso d’acqua e relativi ingombranti manufatti, ma altresì per rendere
attuabile rimpianto di un canale rettilineo, rispondente a tutti i requisiti
della tecnica e costituente una moderna via di navigazione situata fuori da
ogni impedimento capace di menomare l’efficienza del traffico, per modo da
assicurare un vantaggioso impiego dei mezzi di trazione.
[5] In relazione a quanto praticasi
all’estero, segnatamente in Germania e nel Belgio, ove lo scrivente ha potuto
visitare imponenti impianti di opere del genere, in fatto di navigazione
interna risulta la convenienza di creare canali interni per assicurare
l’esercizio della navigazione per tutto l’anno. Sorge quindi la necessità. da
tempo sostenuta da chi scrive, di creare un canale anche fra Mantova e Cremona;
idea, questa, che ha trovato autorevoli sostenitori anche in seno all’ «Unione di Navigazione interna dell’alta Italia»,
specie dopo l’ulteriore sottrazione d’acqua al Po (mc. 100) per l’alimentazione
del canale Emiliano-Adriatico.
Ad avvalorare l’argomento
si ricorda qui che l’ing. comm. Giuseppe Baselli - Capo degli Uffici tecnici
municipali di Milano - in sede di adunata del Consiglio dell’anzidetta Unione,
tenutasi in Venezia l’11 giugno u. s., nei riguardi della convenienza di
servirsi di un canale anche fra Adda e Mincio, così si è espresso: «Per quanto
riguarda l’utilizzazione del fiume Po per la grande navigazione, tenuto conto
del forte prelievo d’acqua di Boretto, ritengo sia ineluttabile la costruzione del canale Cremona-Mantova, per
poter efficacemente utilizzare la linea navigabile, Mantova- Tartaro-Canal
Bianco-Adriatico, in corso di realizzazione».
Il Podestà di Venezia,
comm. ing. G. B. Dall’Armi, Consigliere Nazionale, con l’autorità che gli
deriva dalla sua alta competenza in materia, e quale rappresentante gli
interessi della sua città, ha prospettato all’adunanza l’inderogabile necessità della costruzione del canale Cremona-Mantova.
E il cav. di gran croce,
ing. Luigi Miliani, Presidente del Magistrato alle acque, dopo di aver
illustrate le caratteristiche tecniche del canale, ha voluto affermare che la
questione della via interna
Mantova-Cremona, è già allo studio presso gli organi competenti.
Auguriamo, quindi, che tale
opera sia tradotta in fatto, date le condizioni topografiche della zona assai
favorevoli e stante la necessità di stabilire un valido anello di congiunzione
fra le due grandi tratte: Lago Maggiore-Milano-Cremona e Mantova-Canale
Mussolini-Mare Adriatico, ritenuto anche che i traffici «si avviano per quelle
comunicazioni attraverso le quali essi possono svolgersi con la maggior
regolarità e il minimo costo».